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Piazza Beccaria, ghisa suicida in ufficio: a giudizio la collega per minacce alla vedova

L’agente municipale, legata sentimentalmente al vigile suicida, confessò di essere l’autrice della lettera anonima alla vedova: ora è a giudizio per minaccia aggravata di Mario Consani

Tribunale (foto repertorio)

Milano, 7 agosto 2015 - Lui s'è tolto la vita, quasi tre anni fa, scegliendo di farlo sul posto di lavoro: il comando della polizia municipale in piazza Beccaria. Un colpo di pistola e via, fine di tutto. E invece no. Perché, a parte l’effetto pubblico di quel gesto drammatico, dal giorno dopo la tragedia, invece del silenzio sulla fine di A.D.M., 51 anni, si è sviluppato, sia pure sottotraccia, una sorta di clamore. Due inchieste giudiziarie, una velenosa lettera di minacce arrivata alla vedova, una discutibile perquisizione ordinata da un pm sul luogo di lavoro della donna (anche lei agente comunale distaccata però in procura come assistente di un altro pm) e poi il processo già iniziato a carico della persona che ha confessato di aver spedito la missiva con busta del comune di Milano firmandosi come anonimo funzionario: una collega dell’uomo che si è tolto la vita e che aveva con lui una relazione sentimentale. E che ora è a giudizio con l’imputazione di minaccia aggravata ai danni della vedova.

Una vicenda delicatissima, dunque, intreccio di aspetti molto privati e altri invece di indubbio rilievo pubblico sullo sfondo del comando di Piazza Beccaria. D.M. si sparò un colpo di pistola una sera di novembre 2012 in ufficio, dove si era attardato con una scusa. Lasciò scritte poche righe al computer, dal quale però aveva anticipato la sua intenzione chattando fino a pochi minuti prima con la collega, pure lei sposata, con cui aveva una storia. Relazione che era stata scoperta dalla moglie, che aveva cacciato lui di casa.

La Procura aprì un fascicolo sulla vicenda, per accertare eventuali istigazioni al suicidio o mancati interventi da parte di chi avrebbe potuto agire. L’uomo aveva anche due figlie ragazzine, travolte dal dolore. In quel contesto, alla vedova arrivò una lettera in busta chiusa del Comune di Milano siglata da un anonimo “funzionario”, con la minaccia che se non avesse “lasciato in pace” le colleghe, il mittente avrebbe provveduto a farla trasferire dall’incarico che stava svolgendo. Scattò la denuncia contro ignoti, si aprì il secondo fascicolo d’indagine. Sempre in quei giorni, fra l’altro, a caccia di chissà quale prova dell’eventuale istigazione al suicidio, il pm titolare di quel fascicolo mandò i suoi uomini a perquisire non solo la casa della vedova ma anche i suoi cassetti nell’ufficio della procura.

Di lì a pochi giorni, sentita dall’altro pm, l’agente municipale legata sentimentalmente al vigile suicida confessò di essere l’autrice della lettera anonima alla vedova: ora è a giudizio per minaccia aggravata. Da tutto questo, e nonostante il gesto della sua dipendente, il Comune di Milano ha preferito finora tenersi alla larga. «Ci saremmo aspettati che si costituisse parte civile nel processo che vede imputata l’autrice della lettera - lamenta l’avvocato della vedova, Patrizio Nicolò - invece finora nessuno si è fatto vivo».