Milano – Lo scontro all’incrocio. Il monopattinista a terra. E il furgone che si allontana a forte velocità. Il grave incidente, l’ennesimo sulle strade cittadine nelle ultime settimane, è avvenuto all’alba di lunedì all’angolo tra via Archimede e via Compagnoni, in zona Dateo: stando a una prima ricostruzione, il conducente dell’autocarro è ripartito dopo il violento impatto senza prestare soccorso al ragazzo caduto dalla sua tavoletta elettrica; il ferito, che ha riportato diversi traumi nell’impatto, è stato ricoverato in prognosi riservata al Policlinico.
Le indagini degli agenti della polizia locale sono scattate immediatamente: un aiuto determinante, come spesso capita in questi casi, potrebbe arrivare dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza installate in zona o lungo il possibile percorso seguito dal furgone dopo lo schianto; quasi certamente il veicolo ha riportato danni nell’incidente, e quindi potrebbe essere riconoscibile in caso di eventuale controllo.
Il conducente in fuga rischia le accuse di omissione di soccorso e lesioni stradali. Gli stessi reati contestati a fine agosto a due pirati della strada, identificati e denunciati dai ghisa a valle di un’indagine-lampo. In quel caso, tutto era nato dall’investimento di un’ottantaseienne, travolta sulle strisce in piazza Insubria e ricoverata in ospedale per la frattura di un femore. Una testimone era riuscita a fotografare il numero di targa del furgone che l’aveva travolta; e pochi minuti dopo i vigili si erano imbattuti in un egiziano di 23 anni, B.H., che aveva fatto il nome del presunto investitore, il ventiduenne marocchino M.E.
A quel punto, gli agenti avevano rintracciato l’accusato, che, messo alle strette, aveva sì confessato, ma autoaccusandosi di un’altra omissione di soccorso, un mese prima in piazzale Bologna dopo un tamponamento. Così M.E. era stato indagato per quell’episodio e arrestato perché destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere che lo accusa di essere uno dei capi degli spacciatori che smerciano cocaina nei boschi di Varese. Finita? No, perché i ghisa avevano poi scoperto che al volante del furgone di piazza Insubria c’era proprio B.H., che aveva cercato di addossare la colpa sul conoscente. Perché? "Mi doveva dei soldi".