
Il giudice relatore della sentenza Stefano Petitti
Se l’avessero curato con attenzione, quel detenuto sarebbe morto lo stesso. Però avrebbe potuto risparmiarsi due mesi di dolori atroci in cella, di notti insonni, di un’indicibile sofferenza non attenuata neppure dalla morfina.
È per questo che il Tribunale ieri ha condannato la dottoressa L.A., 66 anni, uno dei medici del carcere di Opera, a sei mesi di reclusione con pena sospesa. Non per aver contribuito, con le sue cure negligenti e superficiali, a provocare la morte del detenuto che nella sezione alta sicurezza stava scontando l’ergastolo. Ma per lesioni colpose, essendosi limitata a prescrivere tachipirina a chi per almeno due mesi, nella tarda estate di sei anni fa, stava soffrendo le pene dell’inferno per un cancro che non lasciava speranze.
È una sentenza importante per il mondo delle carceri, quella pronunciata ieri dal giudice Alessandro Santangelo. La vicenda riguarda Giovanni Crucitti, un ergastolano deceduto nel dicembre 2014 all’ospedale San Paolo devastato dalle metastasi provocate da un tumore al polmone molto aggressivo. Stando alle accuse contestate dal pm Maria Letizia Mocciaro, la dottoressa A. avrebbe causato al detenuto "una sofferenza estrema" perché non valutò "correttamente" i sintomi, non dispose "i corretti esami", non diagnosticò "4-6 settimane prima il tumore", non avviò "la corretta terapia radioterapica o chemioterapica con finalità palliativa", né una "terapia del dolore che avrebbe mitigato in tal modo la sindrome dolorosa, migliorando la qualità di vita residua del paziente e allungando la vita dello stesso fino a 3-5 mesi".
A partire dall’agosto 2014, sempre secondo il pm, il medico non avrebbe prescritto "esami più approfonditi di secondo livello" che avrebbero potuto condurre alla corretta diagnosi, "data la persistenza e l’aggravamento del quadro clinico fortemente sospetto per una patologia tumorale e l’approntamento di una terapia adeguata". "In carcere il medico deve sempre guardare due binari, perché molti, soprattutto nell’alta sicurezza, nel 41 bis, utilizzano il dimagramento, utilizzano la malattia per avere dei benefici", si è difesa la dottoressa. In aula sono sono stati sentiti la moglie del detenuto morto, che presentò la denuncia ed era parte civile con l’avvocato Carla Garrasi, e il suo ex compagno di cella che ancora ricorda i due mesi insonni trascorsi da Crucitti, che per il dolore non poteva appoggiarsi in alcun modo sul letto ("Non faceva altro che picchiare la porta del gabinetto, sbattere la porta dal dolore che aveva addosso, perché non ce la faceva più").
Tra i testimoni, anche un’altra dottoressa in servizio a Opera, che in qualche modo intervenne dopo aver incrociato in corridoio Crucitti (che era stato suo paziente) senza quasi riconoscerlo per lo stato in cui versava, e l’allora direttore del carcere Giacinto Siciliano, oggi alla guida di San Vittore.
Mario Consani