ANDREA GIANNI
Cronaca

Patto tra mafia milanese e i contatti con Messina Denaro, 5 incontri con la cupola: ecco le carte

Ricorso per ottenere 79 arresti, per la Procura l’ex primula rossa "aveva forti interessi qui". Lite pm-gip, Roia: “Noi autonomi”

La maxi-indagine condotta dal nucleo investigativo dei carabinieri e coordinata dalla Dda di Milano

Cinque incontri, avvenuti in Sicilia nel 2021, secondo la Procura "documentano i collegamenti tra il sistema mafioso lombardo" e il boss Matteo Messina Denaro, morto lo scorso 25 settembre. Incontri avvenuti anche al bar San Vito, "ubicato a meno di 100 metri da quello che, successivamente, verrà individuato come il covo di Matteo Messina Denaro". Il boss di Cosa Nostra avrebbe avuto un interesse diretto "negli ingenti affari finanziari realizzati in Lombardia dal sistema mafioso lombardo", evidenzia il pm della Dda di Milano Alessandra Cerreti nel ricorso al Tribunale del Riesame, presentato dopo che il gip Tommaso Perna ha bocciato 142 delle 153 misure cautelari richieste dalla Procura, non riconoscendo per mancanza di prove l’esistenza della ipotizzata alleanza tra Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra.

La figura dell’ex superlatitante (il cugino Paolo Aurelio Errante Parrino vive ad Abbiategrasso: anche per lui il gip ha negato l’arresto per associazione mafiosa) spunta in diversi passaggi delle 1.121 pagine dell’atto di appello. Il pm chiede di accogliere 79 misure in carcere, con parole dure nei confronti del gip che, di fatto, ha smontato dalle fondamenta l’inchiesta condotta dai carabinieri. Gli elementi investigativi raccolti, evidenzia il pm nel ricorso al Riesame, sono stati "incredibilmente parcellizzati e banalizzati dal giudicante". Invece, per la Dda, rappresentano la prova che il gruppo criminale esercita "sul territorio tutte le condotte tipiche delle associazioni mafiose". Non una "eccentrica novità nel panorama mafioso milanese" (il pm precisa di non aver "mai sostenuto trattarsi di una super associazione mafiosa") ma un "consorzio" tra gruppi criminali già emerso in indagini degli anni ’90.

I collegamenti con le "case madri" nel Sud Italia sono dimostrati da svariate intercettazioni, tra cui le frasi pronunciate da uno degli indagati, Gioacchino Amico: "Abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano passando dalla Calabria, da Napoli, ovunque". Secondo la Procura il gip, nel rigettare la maggior parte delle misure richieste, "non ha considerato l’evoluzione mafiosa così per come dimostrata giudizialmente in numerosi contesti investigativi, primo fra tutti proprio l’inchiesta Infinito", la maxi-operazione contro la ’ndrangheta in Lombardia.

"Ignorare tale processo evolutivo e relegare la manifestazione mafiosa di permeazione del tessuto economico alla presenza o meno di attività violente – è uno dei duri passaggi del ricorso – vale una retrocessione trentennale nell’evoluzione giudiziaria ed investigativa". La palla passa ora al Riesame, che dovrà valutare un caso che ha gelato i rapporti fra il quarto e il settimo piano del Palazzo di giustizia, sede rispettivamente della Procura e dell’ufficio gip. Tanto che, dopo le polemiche innescate dalla decisione del gip Perna, il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia ha diffuso una nota, preceduta da un incontro con il procuratore Marcello Viola. "Il controllo del gip, lungi dal dover essere classificato come patologia, evidenzia il fondamentale principio dell’autonomia della valutazione giurisdizionale, in un sistema organizzativo e tabellare che impone il rispetto del principio del giudice naturale" indicato "secondo criteri oggettivi e predeterminati e non scelto secondo criteri preferenziali".

Il sistema automatico di assegnazione ha indicato, in questo caso, Tommaso Perna come gip. Roia, nella sua nota, fa anche riferimento a un procedimento su narcotraffico ed estorsioni, con al centro Luigi Aquilano (condannato a 12 anni), nell’ambito del quale, sia nella fase delle misure cautelari che in quella davanti al gup, è caduta l’accusa di associazione mafiosa