NICOLA PALMA
Cronaca

Il patto ’ndrangheta-camorra-mafia: tutti gli affari milanesi della maxi Alleanza

Inchiesta di Dda e carabinieri sul presunto accordo tra esponenti delle tre organizzazioni criminali. "Abbiamo costruito un impero"

I carabinieri impegnati durante le indagini

I carabinieri impegnati durante le indagini

Milano – Il sigillo (involontario) all’indagine dei carabinieri lo mette Emanuele ‘Dollarino’ Gregorini: "Qua è Milano! Non ci sta Sicilia, non ci sta Roma, non ci sta Napoli, le cose giuste qua si fanno!". Lui, ritenuto al pari di Giancarlo Vestiti un esponente della compagine romana del clan Senese, è uno dei 142 membri del cosiddetto ‘Sistema mafioso Lombardo’ che ieri si è visto recapitare l’avviso di chiusura indagini dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia. I

n realtà, per lui, come per gli altri 141, l’aggiunto Alessandra Dolci e la pm Alessandra Cerreti avevano chiesto l’arresto (e prima ancora avevano pensato a fermi poi non eseguiti), ma il gip Tommaso Perna ha quasi interamente sconfessato la tesi accusatoria su una presunta inedita alleanza tra diversi gruppi criminali che fanno rispettivamente capo a mafia, ’ndrangheta e camorra. Una confederazione che – per le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano e Varese coordinati dai colonnelli Antonio Coppola e Cataldo Pantaleo – avrebbe tenuto ancorati a un unico gruppo la locale di Legnano-Lonate Pozzolo e il suo rifondatore Massimo Rosi, i Fidanzati eredi dello storico boss dell’Arenella di Palermo, i sanlucoti Romeo, il trapanese trapiantato al Nord Paolo Aurelio Errante Parrino ma con radici ben piantate nella Castelvetrano dell’amico d’infanzia Matteo Messina Denaro ("L’ho visto crescere"), i Crea di Reggio Calabria e gli emissari dei Senese. Tentacoli di una stessa Hydra (il nome dell’indagine), che si muoveva su mille fronti, nell’ipotesi della Procura sconfessata dal giudice, per smerciare droga, detenere armi, minacciare e intimidire per impossessarsi di attività commerciali, creare società ad hoc per approfittare del lucroso affare del Superbonus e in generale per infilarsi in qualsiasi business che potesse garantire lauti guadagni.

Uno degli aspetti che per i militari rendeva il patto solidissimo e degno di essere rappresentativo di un’associazione mafiosa era la cassa comune, la ‘bacinella’, dove riversare il denaro da riciclare e per provvedere al sostentamento di chi di volta in volta finiva dietro le sbarre. "I carcerati devono essere i primi a fare! Poi che siamo ad attaccarci i calabresi o i napoletani o i siciliani, i carcerati vanno mantenuti prima di ogni cosa a questo mondo!", intercettano gli investigatori il 21 marzo 2021 negli uffici della Servizi integrati di Dairago. Una delle basi operative del gruppo, i cui componenti si riunivano pure tra Abbiategrasso, Inveruno e Busto Garolfo; senza dimenticare il summit in un ristorante della Maggiolina. L’obiettivo prioritario, stando a quanto emerge, era sempre lo stesso: stare uniti e massimizzare i profitti, nell’ottica di un consorzio in cui tutti dovevano "mangiare" e in cui le controversie andavano risolte in silenzio e senza destare l’attenzione di occhi indiscreti.

La frase-manifesto è di Amico, uno che per il suo matrimonio a Terrasini ha riunito mezza Hydra alla stessa tavola nuziale: "Asse non asse... costruiremo tutto... sempre dove con i proventi di Milano, Milano... con i proventi di Roma, Roma... con i proventi di Calabria, Calabria... con i proventi di Sicilia, Sicilia... abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzati tutto da Milano... passando dalla Calabria, da Napoli ovunque...".