
Paolo De Francesco con Mika
Milano, 3 marzo 2017 - «Tu compreresti un disco solo per la copertina?». Anche sì, per rispondere al dubbio fin quasi “esistenziale” di Storm Thorgerson, il genio creativo del fascio di luce bianca che colpisce un prisma triangolare sulla faccia di “The dark side of the moon” dei Pink Floyd. Una delle più belle della storia del rock insieme alla foto di gruppo di “Sgt Pepper’s” dei Beatles. Classici. Immagini che si sono emancipate dal destino dell’album e della band. Diventando icone di generazioni, simboli della musica e del momento. Ma se «uscisse oggi, quella copertina dei Beatles, non avrebbe la stessa potenza». Molti dischi sono ricordati per la loro copertina prima ancora che per la loro musica. È un’arte. Anche se Paolo De Francesco preferisce considerarsi «un ottimo artigiano. Ho troppo rispetto per il concetto che quella parola esprime, per gli artisti veri». Con loro ci lavora da una vita: agli inizi erano i Casino Royale, i Modena City Ramblers, i Verdena, i Negrita e gli 883. Oggi sono soprattutto Ligabue, Fiorella Mannoia, Tiziano Ferro, Litfiba, Mika. È lui che disegna la loro musica. Che fa ascoltare i loro album con gli occhi.
Bergamasco d’origini e milanese d’azione, nasce nel 1969, anno di grazia della musica e della cultura rock. Gli anni di Woodstock e dell’esplosione di talenti come Led Zeppelin e Pink Floyd ma anche del capolinea dei Beatles. Il liceo artistico e la passione per le sette note: «Suonavo il basso elettrico e mi sono agganciato a un gruppo che però non ebbe la fortuna sperata». Paolo cresce ascoltando la radio. Quella di “Supersonic” e della “Hit Parade”. Quella raccontata pure dal film di Ligabue “Radio Freccia”. On air ci va anche lui. Proprio quando Lorenzo Suraci prende le frequenze locali di RTL e le fa diventare nazionali. Una manciata d’anni «per farmi un po’ di cultura musicale e di passione per quel mondo». Fino all’incontro casuale con i Casino Royale, incuriositi dalle locandine che Paolo aveva realizzato per i concerti organizzati dalla discoteca in cui faceva il dj: «Mi hanno chiesto di disegnare una loro copertina, una delle prime in Italia realizzate col digitale e non più fotolito e fotoritagli a mano».
L’inizio di una carriera che lo ha certificato uno dei migliori cover artist in circolazione con oltre 300 copertine da museo. Nel mezzo il lavoro con Claudio Cecchetto e quella prima chat con gli avatar in 3D, la 883D. Il genio. Del resto in questo mestiere «è l’idea che fa la differenza, oggi più che in passato – è convinto Paolo –. La magia del mio lavoro è che hai a che fare con gli artisti che ti danno input musicali da tradurre in immagini». Poi, certo, c’è magia e magia. Il Liga (per cui ha ideato e realizzato anche il video di “Made in Italy”) «ti mette davanti un foglio bianco e puoi dare sfogo alla creatività», altri preferiscono comparire sulla copertina e tu devi “incorniciarli”. «Ascolti le tracce dell’album e in quel momento l’artista non sta mai zitto, rubi parole dai loro discorsi, dalle loro passioni, intanto nel cervello elabori immagini – racconta Paolo –. Devi capire il loro umore, dove sono e dove stanno andando».
Anche se oggi il fascino e il valore di una copertina resistono più nel romanticismo dei nostalgici del vinile. Ormai «il consumo di musica è talmente rapido e disattento che non c’è più tempo di godersi certi dettagli – la punta di amarezza –. Ma non è colpa della gente, sono gli strumenti moderni a disposizione che ti distraggono». Peccato. Come pure la mancanza di un Grammy delle copertine dei dischi. È vero, «oggi è difficile inventare qualcosa di nuovo, di non già visto». Ma il genio, spesso, sta nelle cose semplici. Come una pallina di carta. Che tutti useremmo per fare canestro nel cestino. Lui, invece, l’ha fatta diventare una “Mondovisione”.