ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Paola Zukar, la signora del rap: "Altro che misogino è solo sanguigno..."

C’è una grande vitalità nell’industria musicale e si stanno cercando soluzioni per garantire ritorni...

Paola Zukar

Milano, 20 ottobre 2017 - Sfacciato, istintivo e «sanguigno». Ma il rap è anche misogino? «No», dice convinta la manager artistica Paola Zukar che supporta la tesi con la sua esistenza. Nata a Genova 50 anni fa, ha sempre lavorato per il rap, prima per la rivista musicale Aelle, poi con una major del calibro di Universal. Dieci anni fa ha fondato Big Picture Management, prima agenzia a dedicarsi esclusivamente ad artisti di questo genere. Dietro il successo di Fabri Fibra, Marracash e Clementino c’è la sua tenace professionalità. A febbraio ha pubblicato il suo primo libro «Rap - una storia italiana», Baldini&Castoldi, che è già alla quarta edizione. «Senza la musica la mia vita sarebbe stata più triste» confessa.

Paola, cos’è il rap?

«Un genere diretto, sincero, capace di descrivere bene la realtà, anche quella brutta e scomoda. Positivo perché capace di farti vedere la luce che brilla dentro al buio. Totalmente differente del pop che invece idealizza il mondo, dipingendo un bel sogno rosa di amore eterno. Il suo stile è stato dirompente rispetto alla tradizione italiana. Da qui l’incomprensione. Si diceva che il rap, per le sue parole dure e abrasive, non appartenesse alla musica. Io rispondevo sempre: “Non a quella italiana ma alla musica sì. Anche nel rock e nel reggae ci sono testi crudi. La musica - quando non è solo filodiffusione - aiuta a crescere, ad accedere a mondi distanti. A diventare profondi”».

La sua prima incursione in America risale al 1988, la prima di una lunga serie. Che cosa ha visto arrivando giovanissima a Washington?

«In quell’inverno freddissimo ho scoperto un mondo non perfetto, ma nuovo. Ero ospite di un amico di origini caraibiche che viveva in un quartiere disagiato, però pieno di un’energia vitale incredibile. Andare all’estero insegna moltissimo. È un’esperienza che i ragazzi dovrebbero fare: si torna più determinati che mai».

A lei cosa hanno insegnato gli americani?

«L’etica del lavoro. Ce l’ha persino il ragazzo che consegna i giornali al mattino… C’è una grande mobilità sociale. Il sistema lì funziona meglio, inutile girarci attorno...».

Qual è il punto della scena musicale in Italia?

«Il successo attuale del rap è legato al fatto che abbia trovato una sua precisa identità nazionale. Sta certamente vivendo una fase più matura, ma ci sono ancora potenzialità inespresse. Cattura più interesse sincero da parte dei media. Siamo lontani dalle critiche avvilenti del passato».

La musica, con la pirateria, è ancora un business sostenibile?

«C’è una grande vitalità nell’industria musicale e si stanno cercando soluzioni per garantire ritorni economici, ad esempio con lo streaming. Vorrei che al pubblico fosse chiaro che la produzione musicale ha costi enormi».

Perché ha scelto Milano per la sua agenzia?

«L’unica alternativa all’estero. Io amo questa città veloce».