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Morto Gianrico Tedeschi, la figlia: "Doveva fare il professore, ma scelse il palco"

Enrica: il suo legame con Milano era forte, non ha mai cambiato residenza. La lezione che lascia? Tendere verso libertà e bellezza.

Gianrico Tedeschi (Alive)

Settant’anni, milanese, docente di Sociologia, Enrica Tedeschi custodisce del padre una preziosa memoria storica. Dove la cronaca del Paese s’intreccia ai ricordi di famiglia. Come si scopre anche in “Semplice, buttato via, moderno. Il teatro per la vita di Gianrico Tedeschi’’, uscito lo scorso anno per Viella.

Enrica, come definirebbe la vita di suo padre?

"Una felice commistione fra piacere e servizio. Il teatro per lui è stato una grande gioia, ne era già appassionato da ragazzino, quando recitava le prime cose in oratorio. Ma probabilmente non sarebbe stata la sua strada, se non ci fosse stato l’episodio del campo di prigionia".

Cosa successe?

"Scoprì che il teatro poteva creare una comunità, essere una voce di conforto e chiarificatrice in un momento di profonda crisi. Mio padre fu deportato poco più che ventenne. Il teatro gli permise di sopravvivere alla paura, alla fame, alle privazioni. Ma soprattutto donava un po’ di luce agli altri. Una specie di faro di solidarietà. E pensare che si era portato dietro i libri di filosofia sperando di poter preparare gli ultimi esami di Pedagogia in Cattolica".

Voleva diventare insegnante?

"Credeva fosse il suo destino. Fece quel mestiere per alcuni anni. E invece nel campo di prigionia incontrò Ibsen e Pirandello, che prima aveva visto solo sul palco, da spettatore. Mio nonno l’aveva abituato da piccolo. All’epoca c’era la possibilità di assistere in piedi agli spettacoli, senza pagare il biglietto. E così i miei nonni compravano due posti a sedere e si portavano dietro i ragazzi. Già intorno ai 10 anni, quando finiva scuola, si precipitava nei teatri".

Che rapporto aveva con Milano?

"Non ha mai cambiato residenza. Anche quando non ci ha abitato, la sua casa era qui, dove si veniva a votare. È stata Milano a formarlo. Solo così si comprende ad esempio il legame intensissimo con Andrée Ruth Shammah o Franca Valeri. C’è sempre stata una forte condivisione di valori con quella parte della città democratica e non violenta. Una visione comune, in cui Milano è luogo imprescindibile di cultura. E dove l’arte è ramificata, fruibile a tutti".

Quale lezione ci lascia?

"Di tendere verso libertà e bellezza, come ha fatto fin da giovanissimo. Papà mi ha insegnato a cercare il bello negli uomini, nel mondo, nella natura".

D.V.