
Lydia Buticchi Franceschi
Si dice sempre che un genitore non dovrebbe sopravvivere a un figlio. Lydia Buticchi Franceschi, 98 anni, staffetta partigiana e insegnante, morta quest'oggi a Milano, ha percorso un lunghissimo tratto del suo cammino su questa terra senza suo figlio Roberto Franceschi, ucciso la sera del 23 gennaio 1973 da un colpo di pistola sparato dalle forze dell'ordine fuori dall'università Bocconi, a Milano, dove era in programma un'assemblea del Movimento Studentesco. Da quell'enorme dolore Lydia Buticchi Franceschi seppe tirare fuori le forze per dedicare il resto della sua vita alla ricerca della giustizia e all'impegno civile, con una fondazione creata nel nome del figlio morto in circostanze tanto tragiche.
La morte di Roberto

La notizia della scomparsa di Lydia è arrivata con una nota della Fondazione da lei ideata, di cui era ancora presidente onoraria. Nei 23 anni successivi alla morte del figlio, si legge nel comunicato, Lydia lottò per ottenere verità e giustizia dallo Stato, fino alla sentenza civile. Con quel pronunciamento della magistratura fu riconosciuto che "gli accertamenti in fatto svolti nel corso dei due distinti procedimenti penali celebrati in relazione alla tragica morte di Roberto Franceschi non hanno portato all'individuazione della persona fisica del responsabile di tale evento ma hanno tuttavia consentito di acclarare con tassativa sicurezza che la pistola (fu) impugnata e il colpo sparato da una persona appartenente alle forze dell'ordine e che l'uso dell'arma, lungi dall'essere un episodio isolato, si inquadrava in un ricorso generalizzato all'impiego delle armi da fuoco nei confronti di manifestanti che si stavano allontanando dal cordone costituito dagli agenti e, quindi, in assenza dei presupposti che ne potessero far ritenere legittimo l'uso".
A metà degli anni '90 finalmente lo Stato riconobbe la responsabilità, con una sentenza civile che riconobbe alla famiglia di Roberto un risarcimento. Soldi che i Franceschi decisero di utilizzare per progetti utili alla collettività, nello spirito dell'impegno civile e per lo sviluppo della democrazia manifestato da Roberto nella sua breve vita.
Il dovere di schierarsi
Con il marito Mario, la figlia Cristina e l'avvocato Marco Janni, nel 1996 Lydia decise di utilizzare il risarcimento ricevuto dal ministero dell'Interno per dare vita a una Fondazione no profit che desse continuità agli ideali e ai valori civili e morali di Roberto. Solo nel 2020, con l'uscita per Edizioni Alegre del libro "Perché non sono nata coniglio" scritto da alcuni amici riuniti nel Collettivo N23, è stata raccontata al pubblico l'intera storia della vita di Lydia.
Nata a Odessa da Amedeo Buticchi, comunista fuggito dall'Italia per non finire nelle carceri fasciste, e Lidia Pavani, italorussa che abbandona le proprie origini borghesi per sposare la causa della Rivoluzione, Lydia prese il nome dalla madre, morta misteriosamente pochi giorni dopo la sua nascita. Tornata in Italia col padre e rimasta orfana a dodici anni dopo che questi è ucciso dal cognato in camicia nera, cresce in solitudine e partecipa alla Resistenza come staffetta partigiana, diventa insegnante e poi madre di due figli, fino a quel 23 gennaio che segnerà la seconda metà della sua esistenza.
Il rapporto con i giovani
Nel 2013 Lydia scriveva: "La Fondazione con i suoi progetti mi ha permesso di continuare ad avere un rapporto con gli studenti e con gli insegnanti dove ho potuto testimoniare il mio tempo e l'impegno di Roberto contro lo sfruttamento, l'oppressione per lo sviluppo della democrazia e della giustizia e del suo rapporto intenso con la cultura che non ammetteva quelle forme di contestazione della scuola che si traducevano nel rifiuto dello studio a vantaggio di una militanza politica. Oggi guardo Roberto....mi sento in sintonia con Lui e in pace con me stessa".