FEDERICO MAGNI
Cronaca

Monte Api, la tragedia dimenticata dell’altro K2: 70 anni fa il viaggio senza ritorno

Mentre la carovana di Ardito Desio si preparava a conquistare la seconda montagna della terra, una piccola spedizione nata alla Scuola di alpinismo del Cai Milano puntava al ‘cuore di tenebra’ del Nepal occidentale

Gli alpinisti Barenghi, Bignami e Ghiglione

Gli alpinisti Barenghi, Bignami e Ghiglione

Milano – Mentre tutti i riflettori erano accesi sulla spedizione diretta al K2, la seconda montagna più alta della terra, che nel 1954 era ancora inviolata, con una carovana di celebrità dell’alpinismo dell’epoca guidata da Ardito Desio, un’altra avventura era destinata a scrivere una pagina tragica e quasi dimenticata della storia dell’alpinismo.  Eppure i suoi protagonisti erano personaggi di grande spessore del mondo della montagna lombardo e piemontese.

Mentre ci si prepara a celebrare l’anniversario della vittoria degli italiani sulla seconda montagna più alta della terra (avvenuta il 31 luglio 1954) la vicenda relativa alla scalata del monte Api merita uno spazio nella memoria, se non altro per il valore dei protagonisti di quell’estate di 70 anni fa. ‘L’altro K2’, così viene ricordato il Monte Api, è una cima di 7.132 metri che si trova al confine fra Nepal, India e Tibet e che era finita nel mirino di un piccolo gruppo di alpinisti. L’idea nacque a Milano in un uggioso pomeriggio dell’ottobre del 1952. Quel giorno sul tavolo della Scuola di alpinismo del Cai Milano venne dispiegata una grande carta topografica dell’Himalaya centrale. L’obiettivo era la cima più alta nel ‘cuore di tenebra’ nel Nepal occidentale, meno nota degli altri giganti finiti al centro della corsa alla conquista degli anni Cinquanta. Alla guida del gruppo, formato dal brianzolo Roberto Bignami, Giuseppe Barenghi, cuneese, e Giorgio Rosenkrantz delle Valli di Lanzo, c’era Piero Ghiglione, che nel Karakorum scrisse pagine memorabili e, con gli stessi soldi destinati alla spedizione di Desio, di spedizioni come quella ne avrebbe organizzate venti.

“Ghiglione era un grande personaggio. Nato a Borgomanero, ingegnere, importante manager dell’industria automobilistica, per scommessa iniziò a fare l’alpinista. Divenne l’esploratore più attivo del mondo della sua epoca, con tanti record sulle vette inesplorate nei cinque continenti. Fece tanti reportage e fu prolifico come giornalista di avventura – spiega Matteo Serafin, che ha raccolto tutti i particolari sulla vicenda del Monte Api nel libro ‘L’altro K2’ – . La cosa strana di tutto questo è che venne quasi dimenticato dopo la spedizione al monte Api, ma a 77 anni era ancora in giro per il mondo con personaggi dello spessore di Carlo Mauri. Su duecento spedizioni coronate dal successo, questa fu l’unica finita male".

Le due spedizioni partirono lo stesso giorno: il 15 aprile del ‘54, con lo stesso aereo. Una era destinata a riaccendere la speranza degli italiani nel Dopoguerra con la conquista del K2 da parte di Achille Compagnoni, Lino Lacedelli e il contributo indispensabile di Walter Bonatti e l’hunza Amir Mahdi. L’altra a finire in tragedia. Roberto Bignami, caro amico di Walter Bonatti, con il quale scalò in inverno la cresta Furggen sul Cervino, laureato in farmacia e titolare della Farmacia Bignami di Milano, fu la prima vittima: cadde in un torrente e scomparve ancora prima di iniziare la scalata. Bignami era conosciuto anche per le numerose vie aperte in Val Masino ed era il più giovane del gruppo. Dei quattro partiti per la cima, tornò solo Ghiglione, che portò sulle spalle per sempre il peso della scomparsa di tre giovani. Lo sherpa Gyaltzen Norbu tornò sfinito dopo giorni di lotta tra la vita e la morte.

Quello che accadde lassù, a distanza di 70 anni, in parte è ancora un mistero. Che cosa spinse Giorgio Rosenkrantz e Giuseppe Barenghi a partire verso la vetta, contro il parere del capo spedizione, senza sherpa, mentre il monsone si avvicinava? "I fatti del monte Api ci raccontano che ci fu una certa divergenza o quasi insubordinazione al vecchio capo. Il fatto di non aver rispettato le tempistiche dettate dal capospedizione e il fatto di aver voluto anticipare i tempi portò alla rovina".