"Milano ricordi il nonno. La via? Al Portello"

L’appello dei nipoti di Ugo Gobbato, capo dell’Alfa ucciso 77 anni fa. La Fondazione Kuliscioff “chiama” consiglieri e Giunta

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di Andrea Gianni

"Una via di Milano intitolata a mio nonno? Sarebbe una bella idea, anche per ricordare la sua figura di pioniere dell’industria automobilistica e innovatore". Davide Pozzi, milanese, è uno dei 18 nipoti dell’ingegnere Ugo Gobbato, direttore generale dell’Alfa Romeo ucciso a colpi di pistola il 28 aprile 1945. Settantasette anni dopo l’agguato in zona Fiera, uno dei fatti di sangue nei giorni che seguirono la liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la Fondazione Anna Kuliscioff ha lanciato un appello per dedicare un luogo di Milano al dirigente d’azienda, "dimenticato" dalla città dove operò negli ultimi anni di vita e dove fu ucciso. Appello, lanciato sul Giorno, che è stato rivolto formalmente dal presidente della fondazione, Walter Galbusera, anche a consiglieri comunali e Giunta. Il primo passo per costituire un comitato promotore.

A Gobbato, “padre“ del Lingotto di Torino e organizzatore della prima catena di montaggio in Europa, è stato dedicato lo stadio comunale di Pomigliano D’Arco e la sala del Consiglio comunale di Volpago del Montello, suo paese natale in Veneto. Manca invece, a Milano, un luogo alla memoria di una vittima innocente. "Una lacuna che ora potrebbe essere colmata – prosegue il nipote, Davide Pozzi –. Per noi l’ideale sarebbe dedicargli una via o un giardino nella zona del Portello, dove si trovava lo stabilimento dell’Alfa che il nonno salvò dal fallimento nel 1933. Sarebbe interessante studiare e preservare le carte sulla sua attività custodite negli archivi della casa automobilistica". Un intento condiviso anche da Marino Parolin, concittadino appassionato promotore della sua figura, e dai numerosi discendenti di Gobbato, 75 fra nipoti e pronipoti sparsi fra Milano, Torino e il Veneto. Ugo Gobbato e la moglie Dianella Marsiaj avevano infatti sei figli: Anna Franca, Piero, Bianca, Tito, Anna Josè Memi e Giovanna. Tre di loro, nel dopoguerra, sono stati dirigenti della Fiat. Una famiglia numerosa che tramanda il ricordo di un "padre affettuosissimo, un uomo dedito al lavoro ma anche dalla forte spiritualità". Ugo Gobbato fu processato per due volte dopo la liberazione, da un Tribunale popolare che si riunì per giudicare i dirigenti che avevano operato sotto il regime fascista e l’occupazione. E fu assolto entrambe le volte, grazie alle testimonianze degli operai. Gobbato, tecnico lontano dalla politica, aveva anche aiutato il movimento partigiano, proteggendo alcuni operai militanti. Nonostante questo, il 28 aprile 1945 cadde vittima di un agguato. Il caso giudiziario si chiuse nel 1960, con l’amnistia nei confronti dell’unico imputato per l’omicidio, l’operaio comunista Antonio Mutti. La figura di Gobbato è stata ricordata, nel 1995, anche dalle testimonianze di ex dipendenti Alfa radunati per la commemorazione. "Nel giro di 24 ore da impiegati siamo passati a operai per continuare ad avere l’esonero e stare a casa", ha ricordato uno di loro. Con questo escamotage 35 giovanisono stati salvati dalla guerra.

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