Milano, la 'ndrangheta spiava i magistrati da un bar vicino al Tribunale

Approfittando delle generalità riportate sui ticket dei buoni pasto la moglie del titolare consultava fonti per informarsi su storia e carriera professionale dei giudici habitué

Il tribunale di Milano

Il tribunale di Milano

Milano - Alcuni malavitosi vicini alla ’ndrangheta spiavano i magistrati del Tribunale di Milano da un bar poco distante. Tra i protagonisti della vicenda, Luigi Aquilano, 44enne finito in carcere nell’inchiesta della Dda di Milano su narcotraffico ed estorsioni con presunti legami con un clan della ‘ndrangheta: l’uomo avrebbe gestito un bar in via Manara, proprio a fianco al Palazzo di Giustizia di Milano, e da quel locale Rosaria Mancuso, moglie di Aquilano (non indagata) e figlia del capobastone della cosca Antonio Mancuso, 84 anni, avrebbe assunto informazioni su alcuni magistrati che lo frequentavano. Il particolare emerge dalle 850 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Milano Lidia Castellucci.

 Quel bar, come risulta dagli atti, sarebbe stato acquistato nel 2018 da una società di Aquilano e rivenduto nel dicembre 2020. La circostanza che si trovasse proprio di fronte all’ingresso di via Manara del Palazzo di Giustizia faceva sì che fosse frequentato da magistrati, avvocati, appartenenti alle forze dell’ordine e personale impiegato negli uffici giudiziari. E da un’intercettazione del gennaio 2019 è emerso come Rosaria Mancuso, approfittando delle generalità riportate sui ticket dei buoni pasto avesse consultato fonti aperte per informarsi sulla storia e sulla carriera professionale dei magistrati che sono habitué del loro bar. 

E diceva: Guarda oggi ho preso i ticket di tutti i nomi dei giudici quelli che vengono e mi sono andata a leggere le storie (...) la bionda invece ha fatto processi importanti... e poi uno che è venuto stamattina... praticamente sono andata a vedere... sai in quale processo faceva parte? In quello Why Not! (...) siamo proprio circondati!. Tra l’altro, il capobastone del clan Antonio Mancuso in un’intercettazione si preoccupava per la posizione di quel bar: Lavoriamo pure in un punto delicato.

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