
Il furgone ribaltato
Milano, 2 giugno 2022 - Il manto stradale non presentava alcuna anomalia. L’asfalto era asciutto, e i ghisa non trovarono tracce di frenata. La visibilità era buona, il traffico normale e il semaforo regolarmente funzionante. Insomma, il 28 luglio 2012 c’erano le condizioni ideali per circolare a Milano. E invece il mezzo Amsa per lo spazzamento delle strade, guidato da un dipendente con mansioni di operatore ecologico, si ribaltò all’improvviso, restando sul fianco destro. A poco meno di dieci anni dall’incidente, che costò all’addetto 20 giorni di prognosi per un trauma cranico e 10 giorni di sospensione da lavoro e retribuzione, ieri è arrivata la sentenza della Cassazione a chiudere il contenzioso legale tra l’azienda di via Olgettina e il lavoratore: i giudici hanno respinto il ricorso di quest’ultimo, confermando la sentenza d’Appello e rendendo quindi definitiva la condanna a risarcire il danno, stimato da una consulenza in 24.877,50 euro (a cui aggiungere il rimborso delle spese di lite e del perito). La diatriba legale si è sviluppata attorno all’esito degli accertamenti dei vigili intervenuti per i rilievi, che non hanno ravvisato alcun elemento esterno in grado di condizionare la condotta del conducente.
Detto altrimenti : il dipendente Amsa ha fatto tutto da solo, perdendo il controllo del mezzo. A quel punto, l’ex municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti e della pulizia delle strade ha "rilevato – si legge nelle motivazioni della Suprema Corte – che il preventivo di spesa per la riparazione dei danni era superiore al valore residuo del veicolo". In sostanza, i responsabili di Amsa hanno reputato che non valesse la pena aggiustare il veicolo spazzastrade, mettendolo "definitivamente fuori servizio, previo recupero di alcune parti meccaniche". Il danno è stato stimato in 30.286,81 euro, cioè la differenza tra il valore commerciale del mezzo al momento dell’incidente e quello dei pezzi di ricambio riutilizzati. Da lì è partita la causa per avere quei soldi dall’addetto con inquadramento di 1° livello. In primo grado, il Tribunale civile ha respinto il ricorso dell’azienda per difetto di prova del danno, "in quanto il veicolo incidentato era stato messo definitivamente fuori servizio prima del giudizio e non erano stati chiariti i criteri in base ai quali gli uffici interni della società avevano quantificato il danno". Nel 2019, però, la Corte d’Appello ha ribaltato tutto, dando torto al lavoratore e imputandogli la violazione dell’obbligo di diligenza previsto dall’articolo 2104 del codice civile e dall’articolo 66 del contratto collettivo nazionale di lavoro Federambiente.
Premesso che l’autista non ha negato di aver perso il controllo del veicolo e che il rapporto della polizia locale non ha evidenziato la presenza di "fattori esterni", i giudici di secondo grado hanno stabilito che "il sinistro doveva perciò ritenersi avvenuto per imperizia del lavoratore, che non aveva adempiuto all’onere di provare che non gli era imputabile l’inadempimento". Una tesi condivisa dagli ermellini, nonostante l’addetto Amsa abbia sostenuto di aver ricevuto alcuna contravvenzione per quell’incidente e di essere risultato negativo all’alcoltest. Niente da fare: dovrà versare quasi 25mila euro all’azienda per cui lavora.