
Giovanna
Ferrante*
Nozze sontuose fra Virginia Marino, figlia di Tommaso Marino, banchiere e uno degli uomini più ricchi del suo tempo, e Martino de Leyva, appartenente ad una importante casata. Da quelle nozze nacqui io, Marianna. Avevo un anno quando mia madre morì nel 1576, a causa della terribile peste di Milano. Mio padre sempre altrove, ebbro della sua carriera militare e dimentico di me; sino al giorno in cui comprese che rappresentavo la sua fortuna. Avrebbe potuto essere
degno del matrimonio con una nobile spagnola e dell’incarico di Maestro di Campo Generale della Cavalleria, che il suo futuro suocero aveva in serbo per lui, se avesse portato una dote adeguata al rango della sposa. Se solo avesse potuto disporre della eredità lasciatami da mia madre…Il modo c’era. Avviarmi alla vita monastica. E così io, Marianna, appena tredicenne, vengo condotta a Monza in convento. Da ora e per sempre sarò Suor Virginia. Ma il mio destino ha un nome: Giò Paolo Osio. Bello, ozioso, ricco, molti i suoi privilegi di nascita. Io avevo 21 anni, lui 25. Dal momento in cui i nostri sguardi si incrociarono fra il giardino del suo palazzo e il giardino del mio convento, due soli colori per noi: il rosso della passione, il nero della morte! Io per lui ho violato il mio corpo, che avevo offerto a Dio pronunciando i voti sacri. Lui si è macchiato d’omicidi, uccidendo le suore nostre complici perché non parlassero. Vengo processata a Milano per volere del Cardinal Federigo Borromeo, terribile la sentenza: una segregazione atroce nel Ritiro delle Convertite di S. Valeria, per 14 anni murata viva in una cella piccolissima, con solo una fessura per passarmi il cibo e una feritoia per l’aria.
*Scrittrice