Forse Rosa Fabbiano non era da sola. Con ogni probabilità, qualcuno l’ha aiutata a sigillare la madre Lucia Cipriano nella vasca da bagno con cellophane e nastro adesivo o a fare scempio del suo cadavere, decapitandolo e sezionandolo in nove pezzi con una sega. È il terribile sospetto generato dall’esito degli accertamenti scientifici degli specialisti del Ris di Parma: i biologi hanno isolato un profilo genetico maschile, ritrovato su alcuni oggetti repertati dai colleghi del Nucleo investigativo di Milano e verosimilmente utilizzati per mutilare il corpo. Il fatto che quelle tracce genetiche non siano state ancora associate a un nome lascia pensare che l’ignoto non sia mai stato arrestato in passato né sottoposto a provvedimenti detentivi; in caso contrario, la Banca nazionale del Dna avrebbe rimandato una possibile compatibilità con una delle identità "schedate".
I risultati delle analisi hanno ridato linfa alle indagini della Procura, per capire se ci sia un complice della cinquantanovenne ancora a piede libero e, in quel caso, che ruolo abbia avuto nella drammatica fine dell’anziana, il cui corpo orridamente smembrato fu ritrovato nel suo appartamento di via Boves a Melzo il 26 maggio 2022. Per un capitolo ancora tutto da scrivere, ce n’è un altro che si è parzialmente chiuso: Rosa Fabbiano è stata rinviata a giudizio davanti alla Corte d’Assise con le accuse di omicidio, mutilazione e soppressione di cadavere; la prima udienza è in programma il 29 maggio. Finora la donna non ha mai aperto bocca, chiudendosi in un mutismo apparentemente incrollabile: non ha fornito alcuna spiegazione sul perché del suo comportamento (probabilmente legato al decadimento fisico e mentale della madre) né ricostruito con esattezza cosa sia successo in due mesi di buio totale. Sì, perché l’ultima volta che qualcuno ha visto viva la signora Lucia è stata il 24 marzo 2022: quel giorno, la badante appena assunta dalle tre figlie per accudirla ha telefonato a Rosa per comunicarle la sua rinuncia, ritenendo impossibile prendersi cura a domicilio della pensionata.
Da quel momento è calato il silenzio su via Boves, interrotto solo il 12 aprile dalla chiamata di una vicina di casa, che ha segnalato a Rosa, operaia che viveva a Mediglia con marito e due figli, l’odore "stomachevole" e il fumo da una finestra; la donna l’ha rassicurata, parlando di un problema alla lavatrice. Un mese e mezzo dopo, Loredana Fabbiano, una delle due sorelle della cinquantottenne, è arrivata a Melzo per rendersi conto di persona delle condizioni di salute della madre. "Ho fatto un disastro", le ha detto Rosa. Poi il tragico ritrovamento.
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