
Luca Muscarnera
Milano – “Sono ingegnere del supercalcolo: il titolo può fare paura, le applicazioni sono molto concrete". Luca Muscarnera, 26 anni, è tra i primi tre laureati in Italia in High Performance Computing Engineering, corso di laurea del Politecnico di Milano.
Qual è stato il suo percorso?
"Sono cresciuto a Milano, ho origini agrigentine. Dopo il diploma al liceo Einstein mi sono laureato in Ingegneria informatica. Al Politecnico è maturato il mio interesse per il calcolo a prestazioni elevate, legato alla medicina o a questioni ambientali, e per la matematica applicata".
E qui è stata aperta la prima magistrale nel supercalcolo.
"Sì, c’è l’ingegneria, si applica la matematica a problemi computazionali, all’informatica, alle sue architetture. Non è stato un compromesso: questo corso era quello che cercavo".
In quanti avete cominciato e in quanti siete arrivati al traguardo?
"Eravamo una trentina al primo anno. C’è stata una selezione iniziale ma non un tasso di abbandono esagerato dopo, anzi. Siamo rimasti quasi tutti perché era molto stimolante, c’era una grande motivazione da parte di tutti i colleghi e i professori sono stati bravissimi: sin dall’inizio hanno preso gli informatici per insegnare matematica ad alto livello e i matematici per integrare l’informatica. Era una sfida, è stata progettata bene".
È una classe ancora molto al maschile?
"Per fortuna le studentesse ci sono e stanno aumentando. Credo sia fondamentale che la parità di genere passi per la formazione universitaria e fa bene alla classe: un ambiente variegato, cooperativo, abbatte gli stereotipi e dà più spunti, permette di raggiungere risultati. È stata una classe anche molto internazionale: altro valore aggiunto".
Se dovesse spiegare, in modo comprensibile ai più, di cosa si è occupato nella sua tesi cosa direbbe?
"Non c’è niente di alieno (sorride). L’unico callo è il linguaggio tecnico, ma è molto intuitivo. L’obiettivo è ottimizzare i processi, cercare di risolvere problemi con tante soluzioni. La mia idea è stata quella di sfruttare alcune analogie con la Fisica per rendere i problemi di ottimizzazione più risolvibili, migliorando l’intelligenza artificiale".
Come?
"Allenare l’AI è come scalare una montagna con tantissima nebbia attorno: puoi vedere solo quello che hai sotto ai piedi, capisci quando arrivi sulla cima ma non sai se è la più alta. Ecco, continuando con questa immagine pittoresca, la mia tesi permette allo scalatore di vedere oltre la nebbia, di capire se ci sono montagne vicine per prendere la soluzione più efficace".
Quali applicazioni possono esserci?
"Tantissime. Da un punto di vista farmacologico, medico, epidemiologico. Fino alle sfide ambientali per essere in grado di ottimizzare le risorse, che non sono infinite, utilizzandole nella migliore qualità".
L’ultima pandemia le ha offerto qualche spunto?
"Sicuramente è stata fonte di ispirazione. Nella mia tesi ho sviluppato anche un algoritmo che si può utilizzare in epidemiologia per minimizzare i contagi. Un problema molto tangibile si può risolvere con strumenti astratti, con la matematica che offre modelli e metodi preziosissimi e l’informatica, che fornisce il “metallo“ con cui forgiare quei modelli e realizzare algoritmi in grado di prevedere cure migliori o come evolverà il riscaldamento globale. È un buon matrimonio tra queste discipline e permette di trarre conclusioni e compiere azioni che abbiano impatti positivi".
È tra i primi tre ingegneri del supercalcolo d’Italia. Risultato finale?
"Centodieci e lode. È stato emozionante esporre il mio lavoro e ringraziare chi mi ha accompagnato fin qui, mia mamma, mio papà, mia sorella Alice. E la mia fidanzata Elisabetta, vicina anche nelle difficoltà".
E adesso che si fa?
"Una laurea come questa apre tantissime strade, ho già ricevuto offerte di lavoro, ma mi piacerebbe continuare con la ricerca. E vorrei farlo qui, in Italia. Sono fiducioso: investire nella ricerca è la chiave di volta per avere un’Italia protagonista. Anche il fatto che il livello di formazione sia così buono e internazionale dà speranza".