ANDREA GIANNI
Cronaca

L’operaio eroe: "Ho salvato una bimba tra fiamme e lamiere. Era piena di sangue"

Il gambiano Tourè, 27 anni, è arrivato nel nostro Paese sul gommone "I pompieri mi hanno detto ’non pensare ai morti, aiuta i vivi’".

L’operaio eroe: "Ho salvato una bimba tra fiamme e lamiere. Era piena di sangue"
L’operaio eroe: "Ho salvato una bimba tra fiamme e lamiere. Era piena di sangue"

dall’inviato

MESTRE (Venezia)

"Io un eroe? Ho solo fatto la cosa giusta: se qualcuno ha bisogno di aiuto non posso voltarmi dall’altra parte e andare via facendo finta di niente". Aboubacar Touré, 27 anni, martedì sera è stato tra i primi a gettarsi in mezzo alle fiamme aiutando a mettere in salvo quattro persone, tra cui una bambina e un cagnolino bloccato tra le lamiere dell’autobus carico di turisti precipitato dal cavalcavia a Mestre. Quella di Aboubacar è anche una storia di integrazione perché, arrivato in Italia dal Gambia una decina di anni fa al termine di un viaggio della speranza, ha trovato lavoro come operaio prima ad Ancona e poi alla Idromacchine, società di impiantistica di Porto Marghera legata al colosso della cantieristica navale Fincantieri, nello storico polo industriale che si estende alle porte di Venezia. A prestare soccorso ai feriti è stato anche un altro operaio, il 26enne nigeriano Odion Egboibe, che vive con il collega e amico Aboubacar in un alloggio in via della Pila, a pochi passi dal luogo dove è avvenuto l’incidente, messo a disposizione dall’azienda.

Touré, quando si è reso conto che si stava compiendo una tragedia?

"Ero a casa a riposare dopo una giornata di lavoro quando ho sentito un rumore fortissimo, come un terremoto. Ci siamo affacciati dalla finestra e quando ci siamo resi conto di quello che stava succedendo ci siamo precipitati sulla strada".

Che scena si è trovato davanti?

"Quando mi sono avvicinato all’autobus ho visto tanto fumo e le fiamme. Ho visto l’autista, nella cabina del pullman, ma purtroppo era già morto. Non c’era più niente da fare. Il vigile del fuoco mi ha detto che dovevamo pensare ai vivi, ai feriti, così l’ho aiutato a estrarre quelle persone, per portarle all’esterno. C’era una bambina piena di sangue, la sua mamma non parlava italiano: ha detto ’my daughter’, mia figlia. Ho aiutato i soccorritori a tirarle fuori dall’autobus e a metterle in sicurezza. Ho provato anche a spegnere le fiamme, ma non ce l’ho fatta: ho ancora davanti agli occhi le urla, i pianti".

Come hanno reagito i colleghi, al lavoro, dopo il vostro gesto?

"Sicuramente sono contenti. Salvare le persone è una cosa buona. Poi non mi sento un eroe. Ho agito senza pensarci troppo, sapendo di fare la cosa giusta".

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