Roberto
Scaramella*
In questo articolo analizzeremo brevemente un fenomeno di danno sul posto di lavoro, conseguente alla violazione degli obblighi che gravano sul datore di
lavoro a norma dell’articolo 2087 c.c. ma che si differenzia al mobbing per l’assenza
di un vero e proprio intento persecutorio lo, “ streining”.
Il fenomeno dello “streining” è rappresentato da quella serie di comportamenti assunti dal datore di lavoro, che portano alla creazione di condizioni di lavoro stressogene, concretizzati in atti che comportino la violazione di precetti normativi o la violazione del generale dovere di mantenere delle condizioni di lavoro che, secondo l’esperienza e tecnica, consentono di creare un ambiente di non nocivo per l’integrità psicofisica del lavoratore.
Il fenomeno dello streining si
caratterizza per una una incidenza inferiore dell’intento persecutorio ed è costituito dalla presenza di uno stress occupazionale, che però non è
semplicemente insito nell’attività lavorativa svolta (in tal caso potrebbe esservi
una malattia professionale indennizzata dall’INAIL senza che ciò implichi responsabilità per il datore di lavoro) ma è causato da comportamenti od
omissioni del datore di lavoro, assunti in violazione di specifiche norme legge o
del generale dovere di adottare comportamenti che tutelino l’integrità psichica del lavoratore. Comportamenti ed omissioni che portano alla creazione di un ambiente stressogeno indipendentemente dalla volontà persecutoria. L’onere di provare l’attuazione di tali comportamenti da parte del datore di lavoro, incombe
sul lavoratore che richieda il ristoro dei danni subiti, detto onere, seppur meno
gravoso rispetto al mobbing, comporta comunque la necessità di fornire prova
della nocività dell’ambiente di lavoro, che tale nocività non sia insita nella attività
lavorativa ma sia connessa con azioni od omissioni poste in essere dal datore di
lavoro in violazione dei propri doveri e che da questo ne sia derivato un danno al
lavoratore.
*Avvocato