Lea Garofalo e il legame con Milano: dalla ribellione all’omicidio, la città che l’ha tradita

Il suicidio in carcere di Rosario Curcio riaccende i riflettori sulla vicenda umana della più famosa donna vittima di Ndrangheta. Una donna che si fidava del capoluogo lombardo: “Non è come la Calabria”

A Corsico il murale dedicato a Lea Garofalo

A Corsico il murale dedicato a Lea Garofalo

Chi era Lea Garofalo? Una domanda che torna a bussare alla nostra memoria nel giorno in cui Rosario Curcio, uno dei suoi assassini, l’uomo che ne ha bruciato il cadavere, si è impiccato nel carcere di Opera dove stava scontando l’ergastolo per l’omicidio del 24 novembre 2009. 

Una delle peggiori storie italiane di Ndrangheta e crudeltà mafiosa che dimostrò plasticamente, se ce ne fosse stato il bisogno, quanto il capoluogo lombardo fosse diventato non solo epicentro degli interessi economici dei clan calabresi, ma anche terra di delitti sanguinari, sequestri, coperture e volti girati dall’altra parte. Proprio come in Aspromonte. 

Nata nel 1974 a Petilia Policastro, in Calabria, e rimasta orfana a nove mesi di un padre ucciso in una faida tra cosche, per Lea Garofalo Milano rappresentò il luogo dell’amore, dell’illusione e della tragica fine. Qui, in viale Montello, si trasferì a soli 14 anni per unirsi al suo futuro carnefice, Carlo Cosco, che due anni dopo diventerà padre di Denise. Un gesto eclatante, dirompente, rispetto agli schemi familiari e criminali, ma mai quanto quello successivo di lasciare il compagno arrestato per spaccio di stupefacenti. Un uomo dei clan che non poteva accettare di perdere l’onore, insieme al controllo della donna e della figlia.

Milano guarda immobile consumarsi la vendetta dei Cosco e bruciare l’auto di Lea, che è costretta a lasciare la città con la figlia e a ripararsi nel programma statale di protezione testimoni, dopo aver scelto di raccontare ai carabinieri tutto quello che ha visto e sentito nella sua giovane ma intensa vita. Collaborare con la giustizia e denunciare, dunque: la terza e ultima decisione coraggiosa ma fatale. I segreti che Lea rivela non si trasformano in processi, la protezione dello Stato viene meno, le false identità sono ritirate. Lea e Denise sono sole, senza appoggi famigliari, esposte alla sete inappagata di vendetta dei Cosco.

La trappola viene tesa ancora una volta a Milano dove Lea accompagna la figlia per un incontro con il padre che avrebbe dovuto comprarle un regalo. In verità, era già tutto pianificato. Carlo Cosco riconquista la fiducia dell’ex compagna, in quella “città che non è come la Calabria” come diceva la donna.

Lea viene uccisa il 24 novembre 2009 in un appartamento di piazza Prealpi, periferia ovestmentre la figlia cena con i parenti paterni; il suo cadavere è portato e distrutto a San Fruttuoso, a Monza. Aveva 35 anni. Le sue ultime immagini da viva sono all’Arco della Pace, dove passeggia con Denise immortalata dalle telecamere, poche ore prima della sua morte.

Sarebbe dovuta rientrare in Calabria la sera stessa insieme alla figlia che subito sospetta del padre. Il 18 ottobre 2010 l’uomo viene arrestato insieme ai complici. Quattro lunghissimi anni dopo la Cassazione conferma l’ergastolo per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino. L’ex fidanzato di Denise, anch’egli assoldato dal clan, è condannato a 25 anni. 

Il 19 ottobre 2013 in tremila partecipano ai funerali in piazza Beccaria, nel cuore di una città che ha capito troppo tardi. Lea riposa al Cimitero Monumentale insieme ai grandi di Milano. Oggi teatri, film, eventi e murales la ricordano e tutti i milanesi sanno chi è stata Lea Garofalo.

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