Le nostre lezioni a scuola: le mafie vi rubano i sogni

L’organizzazione no profit incontra i ragazzi delle medie "I figli dei capi clan hanno il destino segnato"

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"Il periodo di pandemia ci ha rallentato ma non ci siamo fermati: incontriamo i ragazzi delle scuole medie del Municipio 9, leggiamo loro testi sulla mafia, li accompagniamo nei luoghi confiscati alla criminalità organizzata per far toccare con mano la rinascita". Stefano Morara è presidente dell’organizzazione no-profit Civitas Virtus, che ha l’obiettivo di "conoscere, parlare, capire, confrontarci e contribuire alla formazione di una coscienza civica di ogni cittadino libero". Nel 2016, Civitas virtus ha collaborato alla ricerca dell’Università di Torino sul Municipio 9: raccolti 467 questionari compilati da commercianti, ristoratori e artigiani della zona 9. Il risultato? L’8,4% dei commercianti della zona, che comprende quartieri come Bruzzano, Niguarda, Isola e Bicocca, aveva dichiarato di pagare, o aver pagato, il pizzo. E il 18,7% affermava di conoscere almeno una vittima di estorsione. "La collaborazione per quella ricerca è stata una delle nostre attività. Il nostro impegno è soprattutto per i giovani: vogliamo che si sviluppi una tensione verso la libertà. Far capire loro che solo con la libertà possono realizzare i loro sogni – sottolinea Morara –. Vogliamo far capire loro che nessun ragazzo che appartiene a un clan mafioso è libero".

Nelle scuole quindi si leggono brani per spiegare cos’è la criminalità organizzata, come funziona, "perché porta in una gabbia", attraverso le parole di chi ha vissuto una situazione spiacevole. Si svolgono laboratori e si va anche in gita (attività sospesa durante il periodo Covid). "Ai ragazzi – continua Morara – facciamo visitare un immobile di viale Jenner confiscato alla criminalità organizzata, affidato a una cooperativa che si occupa di accogliere persone in difficoltà abitativa. Spesso famiglie che hanno perso la casa e che sono in attesa di un alloggio popolare. Altro luogo che ormai è diventato tappa fissa è una masseria di Cisliano, dove si pratica agricoltura biologica e c’è un punto di accoglienza migranti. In più è diventato fulcro di un gas, gruppo di acquisto solidale".

Sapere che sui social ci sono giovani che inneggiano alla mafia lo rattrista. "Noi cerchiamo di contrastare quei messaggi instillando nei ragazzi l’amore per i propri sogni e per la libertà. Fare parte della ’ndrangheta (lo diciamo chiaramente ai ragazzi) vuol dire non essere liberi: persino sposarsi diventa “un affare di clan“ per mantenere certi rapporti. Ci sono stati casi di giovani venuti al nord a studiare, che sono poi dovuti tornare al sud per curare gli affari di famiglia. C’è una pressione fortissima. Ricordo anche delle intercettazioni, di un boss a Milano, il quale lamentava il fatto che le figlie non si curassero delle “questioni del clan“. Ecco, ai giovani diciamo: la non infilatevi in questa strada. Perché non sarete mai liberi".

M.V.

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