Le culle vuote della metropoli Più aspirazioni, meno tempo Così si aspetta o si rinuncia

Blangiardo: "Sul tema economico si sta facendo qualcosa, ma sono tante le leve da muovere. Bimbi super impegnati, nonni “meno efficienti“. Serve una chiamata alle armi delle aziende".

Le culle vuote della metropoli  Più aspirazioni, meno tempo  Così si aspetta o si rinuncia

Le culle vuote della metropoli Più aspirazioni, meno tempo Così si aspetta o si rinuncia

di Simona Ballatore

Nei primi undici mesi del 2022, a Milano, i nati sono stati 8.949. Negli stessi mesi del 2021 erano 9.261. "Il dato è provvisorio, a fine anno faremo i conti, ma rispetto all’anno precedente, abbiamo un 3% in meno di nascite. Continua la parabola discendente", spiega Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat. "Dal 2008, a livello nazionale, la curva della natalità è scesa sempre più in basso".

Un altro anno di crisi il 2008. Quanto pesa l’aspetto economico nella scelta di allargare la famiglia?

"Molto, ma in quegli anni si esauriva anche l’effetto di apparente ripresa di inizio secolo, dovuta in parte al contributo della componente straniera. L’aspetto economico è comunque importante ed è quello rispetto al quale si è già fatto qualcosa e si sta cercando di fare altro. Ma il punto è che non si tratta solo di una questione di soldi".

Cosa frena di più?

"I soldi sono rilevanti, ma ci si può “arrangiare“. Altrettanto importante è assecondare le proprie aspirazioni, a partire da quella lavorativa dopo l’investimento fatto nell’istruzione. E qui si apre il discorso del tempo: i figli vincolano. Ed è ancora soprattutto la donna a trovarsi nella condizione di non potere fare più quello che poteva fare prima. Il senso di responsabilità condiziona le libere scelte, e questo fa sì che intanto si aspetta a fare il primo figlio, poi si aspetta, o si rinuncia al secondo. Con un’aggravante rispetto alle generazioni passate".

Quale?

"Oggi si vuole una formazione e un’educazione di qualità per i figli. Questo benedetto bambino deve avere una serie di opportunità e non deve essere “diverso”, ossia più indietro, rispetto ai suoi compagni di gioco e di scuola: se loro fanno scherma e nuoto deve poterlo fare anche lui, altrimenti è frustrato... una volta si sarebbe arrangiato lo stesso. E invece la mamma prende l’auto per portarlo e aspettare davanti alla palestra finché non ha finito. C’è una forma di ’autolesionismo’ - non è elegante dirlo così - come se si inseguisse una qualità gratificante da raggiungere nella generazione successiva, come dire: io non ho potuto, mio figlio può".

Ma le ore restano 24. Come si fa a tenere insieme tutto?

"La ricetta non c’è, anche se resta quell’unico esempio magico di Bolzano, con le parole “part-time“ e “orario di lavoro flessibile“, che permette una maggiore presenza della donna nel mercato del lavoro, ma le dà anche la possibilità di conciliare meglio le esigenze, evitando una caduta drammatica della natalità".

Part-time sempre al femminile o finalmente cominciano a richiederlo anche i padri?

"C’è un maggiore coinvolgimento della componente maschile circa gli aspetti legati alla cura, ma sul lavoro c’è un elemento che pesa: purtroppo lo stipendio di un uomo è ancora più alto di quello di una donna. E si finisce col dire “se fai tu metà del tempo perdiamo meno“. Anche se qualche esempio virtuoso ovviamente non manca".

E a Milano? Qui la percentuale di donne che lavora è intorno al 50%, più alta rispetto al resto d’Italia, ma ancora bassa.

"L’occupazione femminile è soprattutto nel privato, mentre nel caso di Bolzano è l’amministrazione pubblica che occupa parecchia popolazione femminile e quindi, una volta concordato un modello di conciliazione, lo applica più facilmente. A Milano servirebbe una chiamata alle armi delle aziende: abbiamo un problema, diamoci da fare e troviamo un modello, formule di contratto con i sindacati, per tenere conto di queste cose".

C’è un paradosso: culle vuote, tanti bimbi senza un nido.

"La dotazione di servizi è una questione pubblica e, nonostante i ’fiocchetti’, anche l’amministrazione pubblica milanese non sembra molto efficiente in questo campo. I servizi per la prima infanzia dovremmo renderli non solo in numero adeguato, ma di livello e accessibili. Perché il problema dei costi c’è in una Milano che si vanta".

E manca una rete di supporto.

"Si è andata riducendo per motivi demografici prima di tutto. Se io ho una mamma e un papà che sono figli unici, spariscono tutta una serie di zii, fratelli e famigliari con i quali ci si dà una mano. Siamo da sempre una società centrata sul valore della famiglia, anche funzionale. Così è difficile e, spostandosi l’età del primo figlio, anche i nonni sono meno ’efficienti’ rispetto ai nonni cinquantenni di una volta".

Come interrompere il corto circuito?

"Ci sono tante leve da muovere. Quella economica è una, ma dobbiamo proseguire con le altre, a partire dalla cultura generale. Fai più figli? Ti siamo vicini. E invece sei sul treno, si siedono accanto quattro bambini che si mettono a fare i bambini e dici: “Mi è andata male, addio pace!“. Prima di dirlo o di pensarlo conviene riflettere, giungendo alla conclusione che: “Questi bimbi pagheranno la mia pensione”".

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