La scelta di Andrea, da Fisioterapia al seminario: “Qui ho scoperto chi sono”

Il giovane è da quattro anni nell’istituto di Venegono Inferiore: “La decisione è arrivata durante l’università, non era nei miei piani”

La svolta di Andrea, da Fisioterapia a Teologia   "Non è un luogo chiuso. Ed è un tempo per te"

La svolta di Andrea, da Fisioterapia a Teologia "Non è un luogo chiuso. Ed è un tempo per te"

Milano – Ha scelto di entrare in seminario dopo l’università: studiava Fisioterapia. Andrea Swich, 27 anni, è al terzo anno di Teologia e ha cominciato il percorso a Venegono Inferiore quattro anni fa. "Perché il biennio, la tappa “discepolare“, può essere preceduto da un anno propedeutico, per conoscere clima e dinamiche, e in base agli studi precedenti. Io non avevo mai studiato latino, filosofia e greco".

Quando e perché ha scelto di entrare in seminario?

"Negli anni dell’università: non era nei piani. Sono cresciuto in oratorio, ma in adolescenza mi ero un po’ allontanato. Mi sono riavvicinato alla vita in parrocchia mentre studiavo e la decisione è maturata nel tempo. Nel biennio si lavora su se stessi. Penso sia un’opportunità: un tempo che ti dedichi per capire chi vuoi essere".

E il quadriennio?

"È la tappa configuratrice: si guarda più all’aspetto pastorale, soprattutto durante il diaconato, con una presenza maggiore nelle parrocchie prima di essere ordinati sacerdoti".

Biennio e quadriennio saranno uniti, in un unico spazio, pur nel rispetto del percorso. Cosa ne pensa della riforma?

"Penso ci sia uno sguardo doppio: da un lato è necessario anche in un’ottica etica ed economica, per il risparmio dei consumi energetici, visto che siamo meno. Quando ho iniziato io eravamo più di una ventina a entrare, adesso siamo nell’ordine della decina. Ma c’è un aspetto anche umano in questa decisione: c’è l’attenzione al singolo, si lavora in un gruppo più esteso".

E il terzo anno si vivrà nelle parrocchie.

"Una sperimentazione che non vivrò sulla mia pelle, ma in relazione con i miei fratelli. Credo sia una scelta necessaria di adesione alla realtà. Cambiare modalità e stile a una struttura consolidata è coraggioso".

Il seminario si apre di più alla vita parrocchiale?

"Già nel biennio siamo affidati a un parroco e a una famiglia, non si passa dal seminario alla canonica, sarebbe alienante. Ma in questo modo c’è uno scambio reciproco e una maggiore adesione alla realtà: il seminarista ha contatto quotidiano con lo stile familiare e di comunità. E i parrocchiani capiscono meglio chi è un seminarista, perché c’è ancora uno stereotipo".

Si pensa ancora al seminario come un luogo chiuso?

"Sì, a un luogo immaginario con boschi fantastici e unicorni in cui questi giovani un po’ strani si chiudono e spariscono dall’umanità (sorride). Anch’io non conoscevo seminaristi prima. Appena entri vedi questa struttura enorme, ma scopri subito che è un luogo apertissimo. Il biennio per me è stato meraviglioso: ho imparato chi sono veramente e che non siamo soli, ma in comunità. Ci sono persone qui che si dedicano al tuo ideale, alla tua crescita. E siamo sereni, anche in vista dei cambiamenti, perché nella dinamicità della storia (e lo si è visto anche in pandemia) siamo sempre stati accompagnati: la Chiesa si è sempre presa cura di noi. Non è solo un luogo, ma un tempo in cui maturare insieme".

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