MASSIMILIANO SAGGESE
Cronaca

La strage di Vito Cosco. Ventidue anni dopo la violenza continua

Quattro morti, il killer ha scontato 18 anni: è libero

Fiori e lacrime per la strage di Rozzano del 2003: morirono Alessio Malmassari, Raffaele De Finis, Attilio Bertolotti e Sebastiana, 3 anni

Fiori e lacrime per la strage di Rozzano del 2003: morirono Alessio Malmassari, Raffaele De Finis, Attilio Bertolotti e Sebastiana, 3 anni

Storia nella storia. Il regolamento di conti, che potrebbe essere legato al controllo della “piazza“ di spaccio, nel cuore della cosiddetta “zona rossa“ di Rozzano, nel quartiere Aler, è a circa duecento metri in linea d’aria da uno degli episodi di cronaca nera più gravi della città: la strage compiuta da Vito Cosco.

Era il 2003. Da allora sono passati 22 anni e cinque sindaci – Maria Rosa Malinverno, Massimo D’Avolio, Barbara Agogliati (tutti di centrosinistra), poi Gianni Ferretti De Luca e ora suo figlio Mattia.

Dopo la strage (e le promesse dei politici locali e nazionali: "Mai più"), Rozzano fu dotata di una tenenza dei carabinieri: fino ad allora c’era solo una caserma.

Dopo l’omicidio di Manuel Mastrapasqua, accoltellato a morte per strada, di notte, per un paio di cuffiette da 10 euro, ulteriore giro di vite: è arrivato anche il Decreto Caivano bis e la dichiarazione della “zona rossa“ per il quartiere Aler.

Eppure, ad oggi, nulla sembra cambiato: a Rozzano si continua a sparare, si continua a spacciare. Vito Cosco, che il 22 agosto 2003 uccise nei pressi del muretto tra via Garofani e via Biancospini due ex amici – Alessio Malmassari, 29 anni, e Raffaele De Finis, 23 – colpì anche la piccola Sebastiana, di tre anni, che si trovava fra le braccia della madre, Loredana Pappacoda, e il pensionato sessantenne Attilio Bertolotti.

Cosco per quella strage fu condannato a vent’anni di carcere, ma ha scontato la pena in 18, in parte lavorando all’esterno. È libero da quattro anni. E Rozzano continua a pagare il prezzo di quella ferita mai rimarginata.

"Questo gravissimo episodio, avvenuto in pieno giorno è purtroppo solo l’ultimo di una lunga serie e conferma ciò che sosteniamo da tempo: la cosiddetta “zona rossa“ voluta dal prefetto di Milano, non serve a nulla e non rappresenta un vero deterrente per la criminalità", accusa Leo Missi, candidato sindaco del PD appena sconfitto alle elezioni e futuro capogruppo dell’opposizione in Consiglio comunale. "Ora si parla di installare 400 telecamere dotate di intelligenza artificiale – continua –. Ma servirebbe un minimo di lungimiranza politica per capire che la videosorveglianza, da sola, non basta. Spostare un problema o osservare in diretta un crimine non significa evitarlo né prevenirlo. Servono soluzioni strutturali: nuovi agenti, un presidio stabile e radicato delle forze dell’ordine sul territorio. Ma soprattutto serve un percorso serio di ripristino della legalità, che passi dalla riqualificazione urbana, dalla presenza attiva delle istituzioni, dalla lotta al degrado e dal sostegno a chi ogni giorno lavora per offrire alternative reali alla criminalità. Spero che il nuovo sindaco abbia la lucidità politica necessaria per ammettere che le soluzioni adottate finora hanno fallito, e per porvi rimedio". Ma.Sag.