Lucidi
battetelo in carcere e buttate via la chiave". Quante volte avete sentito questa frase al bar o - peggio - in tv pronunciata dal politico di turno con sguardo torvo e tono imperioso? Tante. Ma con i facili slogan non si risolvono i problemi. Né ci si rende conto dell’emergenza carceri se almeno una volta non si è toccata con mano la sincera sofferenza di centinaia di persone che stanno pagando per i propri errori. E cercano di uscire dal tunnel di droga e alcol, se possibile senza tornare a delinquere. Facile a dirsi. Ma lo Stato italiano ha scavato ormai un abisso tra la carta della Costituzione ("Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato") e la dura realtà di celle dove stanno in tre nello spazio di 5 risicati metri quadrati.
"Grazie di essere venuti qui, tra gli scarti della società che nessuno vuole", mi ha detto un ragazzo, la mano sul cuore e un triste sorriso stampato sul volto segnato dal passato difficile. Su quel campo dentro San Vittore, tra muri scrostati e sbarre dalle quali penzolano vestiti bagnati, difficile dargli torto. Perché lì dentro il degrado è un pugno che ti colpisce dritto allo stomaco. Degrado invece di attività sportive, laboratori di artigianato, maestri capaci di insegnare lavori che magari nessuno più vuol fare, docenti capaci di far innamorare i detenuti di un futuro possibile. Ce ne sono, di persone di buona volontà che tentano di salvare il salvabile. Educatori, agenti di polizia penitenziaria, medici, volontari. Eroi - sì, questa parola abusata stavolta si può usare - lasciati soli, che ogni giorno nel silenzio e con stipendi ridicoli, fanno il loro dovere. Ma non è abbastanza, se dietro di loro non c’è lo Stato, ma politici in cerca di facile consenso. Zero investimenti sulle carceri, nessuna idea di come reinserire nella società gli ex detenuti.
Le scelte serie spesso non portano consensi immediati. Ma quanto sarebbe più sicura (e quanto risparmierebbe) la nostra società se chi finisce in carcere, una volta uscito, invece di trovarsi di fronte nulla più che un solido muro di pregiudizi potesse trovare un lavoro, grazie alle competenze apprese dietro le sbarre. Pagare le tasse, sostenere la famiglia. Se, usciti, questi uomini fossero persone migliori, non abbrutite dalla detenzione, con alternative di vita reali rispetto all’ennesimo furto, rapina o scippo. Così davvero si potrebbe gettar via la chiave. Perché si offrirebbe una seconda opportunità a chi dimostra di meritarsela.
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