
Emanuele Gregorini alias Dollarino nel suo appartamento di Cartagena de Indias
Milano – I carabinieri del Nucleo investigativo ne hanno mappato i movimenti oltre Atlantico, scoprendo che il 2 febbraio era arrivato in Sudamerica dopo aver attraversato il confine con Panama. Un mese e mezzo dopo, è scattato il blitz Armagedon del Grupo Alianzas Estrategicas della direzione di intelligence della polizia colombiana: Emanuele Gregorini è stato arrestato nell’appartamento che aveva affittato in un grattacielo di 30 piani a Cartagena de Indias, metropoli da un milione di abitanti affacciata sul Mar dei Caraibi. Così è finita la latitanza del trentacinquenne nato a Marino, in provincia di Roma, legato al clan Senese e ritenuto un esponente di spicco dell’inedito consorzio mafioso smantellato dall’inchiesta Hydra.
Inchiesta Hydra, associazione mafiosa
A Dollarino – catturato grazie alla collaborazione dell’Unità I-Can (Interpol cooperation against ’ndrangheta) dello Scip della polizia e dell’esperto per la sicurezza a Bogotà – è stata notificata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere che lo accusa di aver preso parte all’associazione criminale di tipo mafioso, come reso noto dal procuratore capo Marcello Viola. Gli agenti hanno sequestrato a Gregorini i dispositivi elettronici che aveva con sé, in attesa che scatti l’iter per l’estradizione in Italia. Negli atti dell’indagine dei militari di via Moscova, coordinati dalla pm Alessandra Cerreti e guidati dal colonnello Antonio Coppola, Dollarino viene definito "uomo di fiducia di Vincenzo Senese (figlio del boss Michele ’o Pazzo, ndr) e Giancarlo Vestiti": secondo l’accusa, avrebbe affiancato Gioacchino Amico durante il periodo di detenzione di Vestiti "per garantire la continuità di rapporti tra le diverse componenti" dell’alleanza tra Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta.
"Traffico di armi e droga”
Sua una delle frasi intercettate più significative dell’intera operazione, che descrive il presunto patto di ferro all’ombra della Madonnina: "Qua è Milano! Non ci sta Sicilia, non ci sta Roma, non ci sta Napoli! Le cose giuste qua si fanno!". Di più: Gregorini avrebbe svolto "funzioni operative nelle azioni intimidatorie ed estorsive", nonché "nel traffico di sostanze stupefacenti e nella detenzione di armi"; senza dimenticare la raccolta "di somme di denaro per la cassa comune destinate al sostentamento dei detenuti" e il "reimpiego dei profitti illeciti dell’organizzazione attraverso l’acquisizione di aziende operanti in vari settori". Le ambientali ne hanno certificato la presenza a sette summit andati in scena a Dairago, Cinisello Balsamo e Abbiategrasso tra l’11 marzo e il 28 aprile 2021.
Il “patto” tra le mafie al Nord
Il 25 ottobre 2023, il gip Tommaso Perna ha rigettato 142 richieste di arresto su 153, non condividendo l’impianto accusatorio della Dda sull’esistenza di un presunto patto tra le tre principali organizzazioni criminali del Paese. Un anno dopo, è arrivato il ribaltone del Riesame, che ha riconosciuto l’associazione mafiosa: il collegio presieduto dalla giudice Luisa Savoia e completato dalle colleghe Monica Amicone e Caterina Ambrosino ha disposto la custodia cautelare per altri 41 indagati (sui 79 finiti nel mirino della Dda), esponenti del "mostro" a tre teste che si fondava sia sugli introiti garantiti dalle "attività più classiche", a cominciare dalla droga, sia sulle infiltrazioni nel mondo dell’economia legale. Nelle scorse settimane, la Cassazione ha via via ratificato la decisione di secondo grado, rendendo esecutive le ordinanze cautelari e spedendo dietro le sbarre Giuseppe Fidanzati, figlio del boss defunto dell’Arenella Gaetano, e altri personaggi di spicco come Amico, Santo Crea, Paolo Aurelio Errante Parrino e Pietro Marino alias Architetto. Due giorni fa è toccato a Dollarino.