
Fu un vero sequestro di persona quello della ventenne modella inglese Chloe Ayling. L’ha sancito di recente la Cassazione bocciando il ricorso del polacco Lucasz Herba, uno dei due fratelli rapitori, rendendo così definitiva la sua condanna a 12 anni e un mese di carcere.
Alla vigilia del processo d’appello (che comincia oggi) al secondo fratello, Michael Herba, se ne facciano dunque una ragione anche i tabloid britannici che fin dall’inizio della vicenda, conclusa felicemente con la liberazione dell’ostaggio senza riscatto, seminarono dubbi su un rapimento per la verità particolare. Più propensi, i media inglesi, a prendere sul serio la difesa dei due presunti sequestratori, e cioè che la vittima fosse in realtà d’accordo con loro per suscitare clamore e conquistare spazio sui giornali.
Ma dopo il verdetto della Suprema Corte, ripetere questa versione sarà più difficile anche per il 40enne Michael, già condannato in primo grado a 16 anni e 8 mesi. "Non soltanto è stato a conoscenza" di ogni fase del rapimento, scrissero i giudici nel verdetto, ma "vi ha attivamente preso parte o ne ha comunque commentato gli sviluppi col fratello Lukasz, dimostrandovi piena adesione e compartecipazione".
Chloe, all’epoca venntenne, venne rapita davvero nell’estate del 2017 con la scusa di un finto servizio fotografico a Milano e tenuta segregata prima in un appartamento in città e poi in una baita in provincia di Torino, prima di essere liberata.
La modella nemmeno si costituì parte civile nel processo a Michael, dopo aver già ottenuto una provvisionale di 60mila euro come anticipo di risarcimento in quello contro Lukasz, 33 anni, che alla fine la liberò accompagnandola al consolato inglese di Milano, essendosi probabilmente anche invaghito di lei.
Pure il fratello Michael, arrestato nell’agosto del 2017 in Inghilterra e poi estradato in Italia, provò a sostenere che l’idea di un finto rapimento sarebbe venuta alla ragazza dopo aver visto un film. La Cassazione, tuttavia, ormai ha confermato l’impianto accusatorio del pm Paolo Storari e degli investigatori della Squadra mobile. Nessun indizio di finto sequestro. "Tale ipotesi - scrissero già i primi giudici - è rimasta priva di qualunque fondamento. Non vi è alcuna traccia nemmeno di blando valore ipotetico che consenta di formulare fondatamente una simile ipotesi".
Mario Consani