
"I segreti: fare un passo di lato e mettere te stesso in secondo piano. E creare empatia con l’interprete. A quale testo sono più affezionato? Come chiedere a un padre a quale dei suoi figli vuole più bene...".
Dopo più di 30 anni, “Petra lavica” è ancora un disco non solo attuale ma anche capostipite dell’uso del dialetto per raccontare storie e atmosfere. “Petra lavica” è il primo disco di Kaballà, al secolo Giuseppe “Pippo” Rinaldi. Kaballà è un nome evocativo dietro al quale si cela non solo un cantautore, ma anche la “mano” che ha scritto capolavori per Anna Oxa, Antonella Ruggiero, Irene Grandi, Eros Ramazzotti, Carmen Consoli, Mario Venuti, Nina Zilli, Paola Turci, Alessandra Amoroso.
Kaballà, come si scrive una canzone?
"Le scuole non esistono, una canzone si può fare con qualsiasi cosa: libri, film, episodi di vita, suggestioni. Non si butta via niente. Se vuoi essere autobiografico nella scrittura, devi uscire da te, fare un passo indietro a favore del suono e diventare biografico. Devi romanzare e inserire qualche dettaglio della tua vita, ma non in maniera preponderante. Ci sono diversi modi per scrivere canzoni. Come quelle che nascono da storie di amicizia. Con Mario Venuti ho scritto quasi tutte le canzoni in coppia, ad esempio. Lui deve cantare e io devo tirare fuori le parole e lavorarci su. Devi metterti a disposizione e deve esserci equilibrio per riuscire a dare qualcosa di tuo. La canzone è un piccolo miracolo".
Lei è diventato famoso come autore. Cosa significa scrivere per altri?
"È un momento che trascende la tua arte, devi fare un passo di lato e mettere te stesso in secondo piano. Devi avere una buona conoscenza di ciò che è un modo di cantare, devi avere la consapevolezza di diversi mondi musicali. E poi devi fare un lavoro quasi di empatia e psicanalisi con i personaggi con i quali ti rapporti. Però poi devi fare un passo avanti, devi far sentire il tuo stile devi dare la tua griffe. È un lavoro di artigianato e di tecnica di scrittura".
La canzone che le è piaciuto di più scrivere?
"È come dire a chi voglio più bene dei miei figli: non posso scegliere. Sono legato tantissimo anche a canzoni che hanno avuto meno esito e meno successo rispetto a quelle più note".
È complicato lavorare con altri artisti?
"Dipende. Qualcuna è un po’ più star, si sente un po’ più diva e quindi anche l’autore deve accostarsi al suo mondo con una maggiore sensibilità".
Capita spesso che un brano che diventa famoso sia riconosciuto dal pubblico come di chi lo canta e non di chi lo ha scritto. Non le dà un po’ fastidio?
"Dopo un po’ ci fai l’abitudine. Anche perché la canzone non è di chi la scrive né di chi la interpreta: quando arriva al pubblico, diventa proprietà della gente".
Oltre 30 anni fa usciva il suo primo disco da cantautore, “Petra lavica”. Come mai la scelta di usare il dialetto, siciliano?
"All’epoca in Italia in dialetto c’erano ‘Creuza de ma’ di Fabrizio De Andrè e alcune canzoni di Franco Battiato. Il dialetto era usato nel folklore e nella tradizione napoletana. Io invece guardavo a quello che succedeva in Europa. Guardavo Eddie Vedder, Sigur Ros, Peter Gabriel: sono figlio del rock e quindi ho deciso di fondere il dialetto con il rock, le radici con le radici".
“Petra lavica” è un disco ancora molto attuale. Progetti per celebrarne i tre decenni?
"Voglio portarlo in giro e promuoverlo. Mi piacerebbe poi fare un format in stile ‘Quando il dialetto si veste di pop’ per raccontare le esperienze di chi usa questo linguaggio in modi non consueti. Sto anche continuando a scrivere canzoni. Ho scritto con Francesco Bianconi ‘Universo’, il nuovo singolo di Irene Grandi. A marzo uscirà ‘Paradiso in vendita’, film di cui ho realizzato la colonna sonora. È stata una bella esperienza, mi piacerebbe realizzare altre canzoni per il cinema".