La vita per Enzo Jannacci era un viaggio sperimentale "fatto involontariamente e in maniera del tutto approssimativa". Così la racconta Guido Harari, curatore di “Jannacci arrenditi!”, volume di 288 pagine che il “Cantafotografo di serie A”, come lo chiamava il diretto interessato, presenta domani all’Auditorium Demetrio Stratos di Radio Popolare (ore 21) sotto l’egida di Bookcity. Con lui Paolo Jannacci, che gli ha spalancato gli archivi di famiglia con lettere, poster, copertine, scatti d’antan, scritti di diversa natura definiti "Fotoricordi di contrabbando". "Fotografare uno come Jannacci è accompagnarlo in un suo viaggio – racconta Harari –. Un improvvisatore, come il suo modo di parlare: a valanga. Lo conobbi sul set del programma tv “Saltimbanchi si muore“ e scattò qualcosa. Era un outsider assoluto nella scena musicale italiana. Come avvolto, catturato dal suo stesso personaggio. Arrivava in studio in tuta da motociclista e cominciava a lamentarsi di non aver trovato parcheggio per poi concludere: “Non ho capito neanch’io quel che ho detto”".
Che rapporto avevate?
"Ci si trovava e da quel tempo assieme scaturivano anche fotografie. Affetto cresciuto negli ultimi anni quando la difficoltà a pubblicare dischi s’è fatta sentire. La rabbia verso un mondo della discografia che non lo capiva più, ma anche l’urgenza di andare a Sanremo a cantare brani critici come “I soliti accordi“ o atroci come “Guarda la fotografia“, che raccontava un agguato di mafia. Voleva arrivarti come un pugno allo stomaco, lasciarti stordito".
Dei tanti con cui ha lavorato, chi le ricorda Jannacci?
"Tom Waits in qualche modo gli si avvicina. Mi vengono in mente grandi della canzone, magari senza l’attenzione maniacale alle parole di un De André, ma portati a vomitarti addosso le cose per come sono, con una musicalità molto forte. Lui e Gaber nello stesso periodo voltarono le spalle al successo, Gaber passando al teatro canzone e lui a “Canzonissima“ quando, arrivato in finale con “Vengo anch’io“, al rifiuto di fargli eseguire “Ho visto un re“ decise di farsi escludere cantando “Gli zingari“ per poi andarsene quattro anni in America ad approfondire la professione di medico. Un coraggio difficile da trovare in giro".
Fra tante copertine realizzate assieme, a quale è più legato?
"In alcune come “Foto ricordo“, Enzo aveva sviluppato dei concept. Quelle realizzate con me erano più dei ritratti. Ricordo che nello scatto per “L’importante“ mi chiese di tenere nell’inquadratura ben in evidenza le due fedi dei genitori che portava all’anulare".