Lo studente col coltello e la caccia alla prof: “I ragazzi respirano violenza, la repressione non serve. Bisogna ascoltare il disagio”

Raffaele Mantegazza, professore di Pedagogia all’università Bicocca sul raid di un 15enne all’istituto Galvani di Milano: “Gli insegnanti non possono essere lasciati da soli. Serve un piano Marshall per la scuola”

Il professore di Pedagogia della Bicocca Raffaele Mantegazza. A destra, l'Istituto Galvani di Milano dove è avvenuto il tentato accoltellamento (Foto Fasani)

Il professore di Pedagogia della Bicocca Raffaele Mantegazza. A destra, l'Istituto Galvani di Milano dove è avvenuto il tentato accoltellamento (Foto Fasani)

Milano, 24 aprile 2024 – “La violenza e l’aggressività dilagano, sono dappertutto. Dallo scenario internazionale, fino al semaforo sotto casa. E purtroppo è diventato normale che sia anche nelle scuole». Raffaele Mantegazza, professore di Pedagogia all’Università di Milano Bicocca, non si stupisce dell’agguato all’Istituto Galvani da parte di un giovanissimo studente, la terza aggressione ai danni di docenti in meno di un anno. “Se i ragazzi respirano violenza ovunque - dice Mantegazza - ad iniziare dalla famiglia, se conoscono solo la violenza come mezzo di espressione, i risultati sono questi”.

Professor Mantegazza come si può intervenire?

“Purtroppo molte volte si prendono decisioni a livello istituzionale sull’onda dell’emergenza. E invece quello che serve sono interventi mirati e di lungo respiro. Innanzitutto di sostegno ai professori. La scuola non può essere lasciata sola, altrimenti rischia di essere travolta. Serve un piano Marshall per la scuola. Bisogna investire in personale educativo da affiancare ai docenti e in formazione specifica per i professori. E poi una rete di supporto che possa intervenire tempestivamente. Tante volte gli insegnanti o i dirigenti scolastici segnalano piccoli episodi di violenza o vandalismo, ma non trovano risposte da parte delle istituzioni. Se queste segnalazioni attivassero subito interventi adeguati si potrebbero evitare situazioni più gravi”.

Quali misure bisogna adottare invece nei confronti dei ragazzi?

“Di certo la sola risposta repressiva non serve a niente. I ragazzi hanno bisogno di essere prima di tutto ascoltati, solo così si possono cogliere di segnali di disagio. E solo così si può instaurare un dialogo nel quale far comprendere gli errori e i limiti del dissenso. E poi naturalmente, dove possibile, vanno coinvolte le famiglie, che devono essere il primo luogo di confronto e di supporto al lavoro educativo della scuola”.

In questi ultimi anni la scuola si è attrezzata, con lezioni e appuntamenti formativi per gli studenti, dedicati proprio alla violenza e al bullismo, cosa non ha funzionato?

“Si ha l’impressione che su questi temi, come anche su quelli di grande attualità, come l’educazione digitale e i rischi legati a internet, l’approccio sia un po’ paternalistico. Del tipo: questo non si fa, è pericoloso. Invece, ancora una volta, i ragazzi andrebbero ascoltati. Bisognerebbe ribaltare l’approccio e partire dalle loro esperienze, dai loro racconti. Non è facile, mi rendo conto, e anche qui c’è un grande tema di formazione e aggiornamento dei docenti spesso da soli di fronte a questi temi, ma solo così si può fare vera prevenzione”.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro