VIVIANA PONCHIA
Cronaca

Don Antonio Mazzi: “Faccio il padre ai peggiori. Chi educa istighi al sogno”

Il fondatore di Exodus a 95 anni incentiva ancora i giovani a “cambiare il mondo”. Una vita tra tossici, assassini, corrotti: “Preferisco ignorare il male e aiutare”

Don Mazzi, 95 anni, al centro della foto, circondato da ragazzi ed educatori della sua Fondazione Exodus creata nel 1984

Don Mazzi, 95 anni, al centro della foto, circondato da ragazzi ed educatori della sua Fondazione Exodus creata nel 1984

Milano, 4 agosto 2025 – ​​​Assassini, tossici, corrotti: “Ho sempre accolto tutti. Mi piace stare tra i peggiori”. È così dai giorni del Parco Lambro, quando rischiava la pelle fra gli alberi con le siringhe conficcate nei tronchi. Don Mazzi a volte si è dato dello stupido per avere sfiorato un coltello, non si è mai arreso. Nel 1984 nel crocevia dello spaccio ha creato la Fondazione Exodus, ipotesi di uscita dall’inferno. A 95 anni continua a camminare al fianco dei suoi ragazzi “un po’ strani” e resta “un allievo della vita”, come quel bambino di campagna che correva dietro agli aquiloni dentro il tempo scandito dall’uccisione del maiale, dalla battitura del grano e dalla vendemmia. “Sto ancora vivendo l’aurora – dice – perché la ribellione di ieri è diventata la solidarietà di oggi e la poesia è risultata più vera della violenza”. Legge cinque giornali tutte le mattine, dalla prima all’ultima pagina, dopo la preghiera al “Dio delle periferie”. “Voglio cambiare il mondo“ (il libro appena uscito per Edizioni San Paolo) è un’eredità spirituale. Una lectio magistralis con al centro i giovani.

Don Mazzi, lei ne ha viste di tutti i colori e sembra sempre in gran forma. Ha fatto un patto con il diavolo? E già che ci siamo: il diavolo esiste?

“Esiste il male, che identifico con le economie sbagliate, i soldi rubati. Ma ho sempre preferito ignorarlo cercando di aiutare chi, per ingenuità o fretta, è caduto in errore. È un vezzo di noi cattolici mettere in mezzo il demonio quando si sbaglia. Io meno ci faccio caso e meglio sto”.

Dice di vivere la sua età da uomo fortunato. Il bambino che inseguiva gli aquiloni non lo è stato.

“Mio padre ferroviere è morto a 30 anni di broncopolmonite quando avevo 13 mesi. Cosa che ha creato grave scompiglio a mia madre e alla mia adolescenza. Volevo farla finita a 16 anni, ero continuamente sospeso a scuola, mi rifiutavo di partecipare al sabato pomeriggio fascista. Dire indisciplinato è poco. Mi viene da ridere quando oggi si parla di bullismo. Allora avevamo la forca in mano, tiravamo giù gli uccelli con la cerbottana e la scusa di portare a casa qualcosa da mangiare, facevamo stupidate innominabili. Ma questa mia adolescenza strana ami ha aiutato a interpretare gli adolescenti strani. E il fatto di non avere avuto un padre mi ha reso tale nei loro confronti”.

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Don Mazzi fondazione Exodus, Milano,15 Maggio 2024, Ansa/Andrea Fasani

È diventato prete, ma i preti non li ha mai sopportati.

“Non sopportavo l’obbedienza, il divieto di fare casino, la preghiera”.

Come la preghiera?

“Intesa come rosario forzato e messa obbligatoria in divisa, architravi della scuola vescovile. Mamma non aveva i soldi per farmi studiare ma la maestra insisteva. Così ho fatto il liceo dai preti perché non si pagava. Rubavo libri dalla biblioteca. Sono stati per me quello che oggi sono i telefonini. Finché un giorno è venuto il vescovo di Ferrara, la Ferrara rossa degli anni ’50, a cercare giovani per un loro seminario vuoto. Rincorreva l’esperienza americana della città dei ragazzi e non essendoci ragazzi se li faceva imprestare da Verona. Siamo andati giù in cinque nell’estate del ’51. A novembre ci fu la famosa alluvione del Po che distrusse paesi e fece centinaia di morti. Quel palazzo vuoto si riempì di bambini disperati, di genitori senza casa. Ricordo le notti in barca con i vigili del fuoco a tirare giù la gente dai tetti delle case. In quel buio ho capito che la vita era diversa da come l’avevo immaginata e ho detto al vescovo: lo faccio io il padre di questi poveracci. Sono entrato in seminario e consacrato prete nel ‘56”.

Prete a Verona, Roma, a Milano in un centro professionale vicino al Parco Lambro.

“Ero ingenuo, avevo sottovalutavo lo strapotere della droga. Quando ho fondato Exodus, quella scelta ha salvato me per primo. Ho trovato un motivo per vivere. Chi viene da me ha enormi problemi di relazione e usa la droga per riempire un buco, non più eroina e cocaina ma sostanze chimiche bestiali. Sono gli adulti ad avere creato quella voragine. E se ho buttato giù quattro righe è per dare la carica a loro, per ricordare che non è mai tardi per cambiare il mondo”.

Negli anni ’70 a Milano ha combattuto e capito il terrorismo. Era il tempo di Balzarani, Donat Cattin, Morucci, Faranda e Fioroni. C’era nell’aria un’energia distorta ma potente. Diversa dalla calma apparente di oggi. Perché dice che ai giovani mancano i liberatori e cita Noè, Mosè, il Cristo non cattolico?

“Perché non hanno grandi figure di riferimento e si rinchiudono in piccoli sogni a misura di cellulare. Dall’altra parte noi abbiamo ridotto il cattolicesimo a cerimonia dimenticando il Dio della strada e della sostanza”.

Sente di avere fatto carriera?

“Mai preteso posti in prima fila. Sono stato per 5 anni a Domenica In e come ero fuori ero dentro. Il trionfo dei forti e dei potenti sembra potersi costruire solo sulla pelle dei perdenti”.

Scrive nel libro che per gli educatori è arrivato il momento della disobbedienza.

“Non possiamo più obbedire a uno Stato e a un governo che riducono la scuola e le strutture di recupero in polveriere o ambienti quasi-psichiatrici. Continuo a coltivare l’idea dei “villaggi scolastici“, una scuola trasformata in avventura nell’età migliore per seminare due o tre concetti chiave come la speranza e l’amicizia. Chi educa deve creare un clima di felicità, istigare al sogno. I giovani non sono felici e non sognano più. È spaventoso pensare che la mattina imparano dove sta la Sardegna e la sera prima di uscire cercano il telefonino e il coltello credendo in questo modo di fare la storia”.