NICOLA PALMA
Cronaca

"In Nigeria verrebbe emarginata". Fuggita nel 2015 dal marito padrone ora la malata di Hiv è una rifugiata

Il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso presentato da una donna che ha contratto il virus dell’Aids. I giudici: in caso di ritorno in Africa, potrebbe essere discriminata sia dalla famiglia che dalla società

"In Nigeria verrebbe emarginata". Fuggita nel 2015 dal marito padrone ora la malata di Hiv è una rifugiata

Il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso presentato da una donna che ha contratto il virus dell’Aids. I giudici: in caso di ritorno in Africa, potrebbe essere discriminata sia dalla famiglia che dalla società.

Milano – È molto probabile che, "in caso di rientro in Nigeria, la ricorrente, persona estremamente vulnerabile anche per altre patologie mediche e priva di un adeguato sistema di tutela, possa subìre discriminazione ed emarginazione da parte del proprio nucleo familiare e più in generale dalla società". Con queste motivazioni, i giudici della sezione del Tribunale specializzata in materia di immigrazione ha concesso lo status di rifugiata a una donna scappata dalla Nigeria e affetta dal virus dell’Hiv, mettendo fine a un contenzioso legale che andava avanti da anni.

Sì, perché nel 2020 lo stesso Tribunale aveva negato lo status.

Tuttavia, il legale della centrafricana ha impugnato la sentenza in Cassazione, ottenendone l’annullamento e un nuovo giudizio. Nei giorni scorsi, è arrivato il verdetto del collegio presieduto da Guido Vannicelli, che ha accolto le ragioni della donna. La nigeriana ha raccontato di essere cresciuta nella zona dell’Edo State e di essere stata costretta dal padre a sposare un uomo che praticava il culto degli Ugboni: quell’unione, la convinzione, avrebbe dato "la giusta protezione" ai figli "contro le avversità della vita. Lei ha cercato più volte di scappare, ma il marito è riuscito a ritrovarla e a riportarla a casa.

Alla morte del genitore che aveva stretto quel "patto" sulla sua pelle, la donna è fuggita in Benin, dove ha lavorato per due anni come addetta di pulizie in un ospedale. L’ennesimo blitz del coniuge e un pestaggio su commissione l’hanno convinta a lasciare definitivamente l’Africa: aiutata da un amico, è riuscita ad arrivare ad Agadez, in Niger, e da lì in Libia e infine in Sicilia con una delle carrette del mare cariche di disperati che solcano il Mediterraneo. Quindi, il trasferimento in Lombardia, il lavoro da cameriera e l’appartamento in affitto in un Comune dell’hinterland.

Poi, però, è arrivato il "no" della commissione territoriale alla richiesta di protezione internazionale, inizialmente confermato dal Tribunale: "Tenuto conto di quanto raccontato, deve escludersi sussistente il rischio di atti persecutori", il verdetto. Un verdetto cancellato nel 2023 dalla Cassazione, che ha spiegato che il Tribunale non avrebbe citato fonti aggiornate a sostegno della tesi "che nella zona di origine non vi fosse né guerra né violenze diffuse".

Così è andato in scena il giudizio-bis a Milano, che ha tenuto ovviamente conto dei documenti medici presentati dalla donna, "affetta da Hiv e positiva al papillomavirus": in particolare, i camici bianchi che la seguono hanno scritto in una relazione che "l’infezione necessita di cure, in quanto, se non curata in maniera adeguata, porta a un quadro di immunodeficienza con successive complicanze infettive e possibile morte del paziente". Conclusione: "Tale patologia non può essere curata nel Paese di origine". Di più. Dalle fonti consultate, è emerso "come in Nigeria l’Hiv sia una malattia considerata essere il risultato di un comportamento di vita immorale e una punizione per l’attività sessuale tra omosessuali: spesso le persone affette da tale malattia perdono il lavoro e vengono loro negate le cure, proprio in ragione del fatto che tale malattia viene associata inevitabilmente a uno stile di vita “riprovevole” secondo la cultura del luogo".