
Daniele Ginefra, 52 anni, ripreso dalle telecamere durante la prima latitanza
di Nicola Palma e Marianna Vazzana
E alla fine il truffatore gentile Daniele Ginefra ha messo a segno un nuovo imbroglio per riprendersi la libertà. Alla faccia della fiducia accordatagli per lavorare in un bistrot a due passi dal Tribunale e in un ristorante in zona piazzale Susa, con un permesso per uscire dal carcere di Bollate dove stava scontando dal 2016 un cumulo pene di 14 anni e 4 mesi. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, verrebbe da dire: martedì sera non è rientrato in carcere. Evaso. Di nuovo. Bis. Come già aveva fatto nel 1992 a Stoccarda. Stavolta si è volatilizzato alla fine del turno tra i tavolini, come anticipato ieri dal Giorno: "È andato via alle 20.30. Ha raccolto la sua roba e ha salutato tutti, sorridente come sempre – racconta la titolare dell’attività –. Lavorava qui da meno di un mese. Sempre puntuale, impeccabile, non diceva mai di no: qualunque mansione per lui andava bene".
Ci ha messo poco a conquistare i colleghi: "Non aveva un ruolo specifico, si occupava di tutto, dal servire al dare una mano in cucina. Per noi era un tuttofare volenteroso". Insomma, Ginefra sembrava davvero intenzionato a imparare un lavoro onesto. E invece chissà da quanto tempo progettava l’ennesima fuga: "Quando è andato via non ho notato nulla di strano. Il giorno dopo sono stata contattata dalle forze dell’ordine: mi hanno chiesto se avessi notato qualcosa di sospetto, perché Daniele non era tornato in carcere". L’allarme è scattato alle 22.10 di tre giorni, quando da Bollate è partito un dispaccio a Questura e Comando provinciale dei carabinieri per comunicare il mancato rientro e dare il via alle ricerche. Chi lo ha conosciuto in carcere lo descrive come "una persona che non dava problemi". Modi affabili, sorrisi, portamento da gentleman e piani costruiti ad arte sono le sue armi. Quando i poliziotti del commissariato Città Studi lo arrestarono nel 2016, Ginefra era ricercato in mezzo mondo. Tra le sue "imprese": la vendita di un albergo inesistente a una famiglia romana per un milione di euro e una società immobiliare di Montecarlo rivenduta 14 volte per 5 milioni di dollari.
Nella sua trappola sono finiti pure tre noleggiatori torinesi, alleggeriti di 80mila euro, e alcuni esponenti della mafia russa. A Milano, si era finto il proprietario di una società di via Valtellina (realmente esistente), creando carte intestate con i numeri veri per truffare un uomo tedesco, convincendolo via mail a venire in città per l’acquisto di un brevetto. Dopo aver intascato 3.200 euro per pagare notaio e interprete, sparì nel nulla, salvo poi essere incastrato da un secondo uomo tedesco, che quasi truffato si trasformò in esca per la polizia.