
Il pediatra Zuccotti: nella scelta delle specialità emerge una mancata disponibilità ad aiutare gli altri "Dobbiamo spiegare sin dalle superiori cosa significa fare il dottore, è più importante che iniziare prima".
Una vocazione da riscoprire. Un metodo di selezione nuovamente sotto esame. E una convinzione: "Bisogna anticipare i tempi: dobbiamo raccontare la professione del medico e far capire cosa implica già alle superiori, prima del test". Gian Vincenzo Zuccotti, direttore del dipartimento di Pediatria dell’Ospedale Buzzi e prorettore ai rapporti con le Istituzioni Sanitarie della Statale di Milano, inquadra così la vera sfida.
È ancora ambita la professione del medico?
"Se guardiamo il numero di iscritti al test, in linea con gli anni passati, potremmo dire che la “vocazione“ rimane. Se guardiamo le scelte che fanno una volta laureati per le scuole di specialità il punto di vista cambia".
Come?
"Sembra venir meno lo spirito che contraddistingue questa bellissima professione, la disponibilità verso gli altri e al sacrificio. Non si sceglie più la medicina di emergenza e urgenza, la medicina interna e adesso anche le aree chirurgiche sono meno ambite. Si punta su specializzazioni che permettono più libertà di professione, meno turni, una vita più regolare".
In questo quadro, ha ancora senso il numero chiuso?
"Sì, ma va gestito con elasticità, a seconda del fabbisogno. Serve una programmazione seria legata al lavoro che si intende impostare: se si vuole una sanità più capillare sul territorio i numeri non bastano mai, se si punta a un’organizzazione differente bisogna calcolare bene il numero perché la disoccupazione, dopo tutti gli anni e gli investimenti nella formazione fatti, sarebbe drammatica".
L’ultimo test, che dopo i Tolc sarebbe già pronto alla pensione, funziona secondo lei?
"Solo se si amplia la banca dati: settemila quesiti sono troppo pochi, si imparano a memoria. Devono essere almeno 50mila. E resta il problema: fare emergere la vocazione che richiede questa professione, l’empatia, il sapere parlare al paziente e farsene carico, è complicato con un test così veloce".
Cosa ne pensa dell’ipotesi “semestre filtro“?
"Richiede investimenti su docenti oltre che su spazi e organizzazione. I ritardi comprometterebbero tutto. È complicato: si rischia di fare un pasticcio come sperimentato Oltralpe".
C’è chi teme che favorirebbe le telematiche.
"Anche gli altri atenei potrebbero introdurre strumenti con quelle modalità per arginare i problemi. Ma la facoltà medica non può essere telematica, si rischia di perdere la qualità. Bisogna guardare, assistere, imparare sul campo, fermandosi anche più tempo. E vedo già così poca disponibilità a farlo".
C’entra la pandemia?
"No, è cambiato qualcosa già prima, quando si sono portate le specialità a livello nazionale. Prima già dal quinto-sesto anno si partecipava, per capire se fosse la strada giusta, per farsi conoscere. Ma per punire meccanismi distorti e chi sbagliava si è penalizzato tutto il sistema".
Come invertire la rotta?
"Investirei nell’orientamento, prima del test, raccontando la professione, le capacità relazionali che servono: potrebbe aiutare nella selezione, è più importante che fare il test in quarta". Si.Ba.