Quando i finanzieri di Corsico, guidati dal capitano Riccardo Perrone, sono andati a fare un sopralluogo a Zibido, dove risultava la sede della società La Piramide, hanno trovato solo capannoni con officine, un laboratorio tessile e uno spazio giochi. Della società di servizi pubblicitari neanche l’ombra. Eppure, sulla carta, sembrava importante e in fortissima crescita economica. Tanto che il capitale sociale era cresciuto in un paio di anni da 10 a 200mila euro. Niente di vero. Come fasulle erano le fatture emesse, i capitali dichiarati e i bilanci della società. Tutto per chiedere finanziamenti alle banche coperti dal Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. La guardia di finanza ha scoperto il meccanismo e arrestato i responsabili che creavano e facevano fallire società, movimentando soldi tra di loro con fatture false: "Dimmi quando emetti così faccio anche io e dimmi a carico di chi", si dicevano gli indagati. A Milano, ma anche Assago (Publiservice srl), Zibido (La Piramide), Peschiera Borromeo (Warrant servizi) e Lacchiarella (Cmce Print & Solution), più o meno tutte dedicate a servizi pubblicitari, progetti. Non a caso: le società, così, non avrebbero dovuto presentare nelle documentazioni le bolle di trasporti merci. Tutto era architettato per ottenere anticipazioni del credito dalle banche e "accrescere – dicono gli inquirenti –, nel tempo, grazie alle grosse somme che circolano sui conti, la fiducia che consente di ottenere linee di credito elevate e concessioni di mutui". Secondo i bilanci che le società presentavano agli istituti di credito, la situazione patrimoniale era più che stabile, tanto da concedere, in totale, milioni di euro come finanziamenti e linee di credito. Il ruolo fondamentale dell’organizzazione, guidata da Marco Santinoli, il “boss”, come lo chiamavano i suoi sodali, era dei prestanome. Persone disposte a mettere la propria identità ai vertici delle società. Non svolgevano alcuna funzione: teste di legno che fornivano i propri documenti a cui poi gli arrestati applicavano altre foto. I prestanome cercavano qualche soldo facile, contenti di ricevere per mettere il proprio nome sui documenti della società banconote da cento euro. "Ti dirò io come comportarti", ordina il truffatore al prestanome. E a opera compiuta: "Ho fatto un bellissimo Natale. Grazie, sono sempre a disposizione", dice uno dei prestanome. Sulle false carte aziendali erano amministratori, manager con redditi da 100mila euro all’anno. Nella vita reale erano operai, facevano le pulizie o esumazioni delle salme nei cimiteri. Nessuno scrupolo per gli organizzatori: "Sono diventato bravo ormai", dice orgoglioso uno degli arrestati, Daniele Tadei, che si spacciava per lo zio, prestanome di una delle società fasulle. Hanno continuato a usare la sua identità per fare soldi. Anche quando, nel 2021, lo zio era morto.
Francesca Grillo