Il pentito svelò: il corpo è qui sotto E la conferma arrivò dal bioradar

Emergono nuovi dettagli sull’omicidio di Lamaj al processo contro També accusato d’averlo tenuto fermo

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"È qui sotto il cadavere". Ma i carabinieri hanno voluto la conferma del bioradar alle parole del pentito Carmelo Arlotta prima di abbattere il muro della taverna per raggiungere il corpo nel pozzo artesiano del residence di Senago. È un particolare che è emerso dalla ricostruzione delle indagini fatta dai militari del Nucleo investigativo di Monza sull’omicidio di Astrit Lamaj, 42enne albanese scomparso nel gennaio 2013 da Genova e rinvenuto nel gennaio 2019. L’occasione è un altro processo davanti alla Corte di Assise per il sesto arrestato per questa vicenda: Salvatore Tambè, 45enne di Riesi (Caltanissetta), già agli arresti domiciliari per associazione mafiosa e ora in carcere perchè ritenuto colui che ha tenuto ferma la vittima durante l’omicidio. Lui invece sostiene che in quegli istanti si trovava all’ufficio postale. L’inchiesta, coordinata dal pm della Procura di Monza Rosario Ferracane, nasce dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmelo Arlotta, riesino residente a Muggiò, secondo cui l’albanese è stato attirato in un box per una compravendita di marijuana, stordito e strangolato con un filo di nylon. A commissionare il delitto ai compaesani siciliani Carmela Sciacchitano, 64enne residente a Genova, per vendicarsi di essere stata lasciata dall’albanese. La donna ha patteggiato la pena di 16 anni, mentre le condanne con il rito abbreviato a 30 anni e 14 anni di reclusione sono andate rispettivamente ad Angelo Arlotta e al fratello Carmelo. Al processo in Corte di Assise a Monza sono stati condannati Francesco Serio, 45 anni di Muggiò, cugino degli Arlotta, a 3 anni di reclusione per occultamento di cadavere, e 2 anni e 8 mesi per reati di droga, mentre il coimputato, Cosimo Mazzola, 54 anni di Cabiate, ha avuto una condanna a 3 anni per l’occultamento, oltre ai 6 anni e 6 mesi per droga.

Ora alla sbarra è Salvatore Tambè, collegato da remoto dal carcere per le restrizioni anti Covid. Dalla testimonianza dei carabinieri monzesi è emerso che l’imputato, titolare in Brianza di una rivendita di pezzi di ricambio per auto, è ritenuto coinvolto in un giro di vetture rubate e poi “taroccate” e rivendute in Italia o all’estero, oppure “cannibalizzate” per il traffico dei pezzi di ricambio. Con lui accusati anche Angelo Arlotta e Ignazio Marrone, titolare di un’autodemolizioni a Desio già condannato per associazione mafiosa perchè ritenuto affiliato alla Locale di ‘ndrangheta di Desio. E’ stato Ignazio Marrone, secondo la ricostruzione degli inquirenti, a portare via dopo l’omicidio la macchina della vittima albanese, una Golf, trasferita da Muggiò a Desio per essere demolita, ma dopo aver rivenduto il motore. Stefania Totaro

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