SIMONA BALLATORE
Cronaca

Il Covid non frena la prostituzione: "Offrire alle donne un'alternativa"

L’appello di Caritas: "Occorre una presa di coscienza dei clienti"

di Simona Ballatore

La domanda di sesso a pagamento, a Milano, è tornata ai livelli pre-lockdown: la paura del Coronavirus non frena i clienti. Ad analizzare la situazione è Caritas Ambrosiana, in prima linea con le operatrici e i volontari dell’unità di strada “Avenida” per aiutare le vittime di sfruttamento sessuale. A riprova della situazione ci sono gli interventi: la “task force“ contro la tratta esce di notte due volte la settimana lungo la circonvallazione nord di Milano. Se sono circa trecento le donne incontrate e seguite nel corso dell’anno, nel 2020 il gruppo di “Avenida“ ha intercettato 135 vittime di tratta. Spicca il dato del mese di settembre: le donne incontrate sono state 45, nello stesso mese dell’anno precedente erano 52. Oltre all’assistenza sulla strada, Caritas - con la cooperativa “Farsi Prossimo” - gestisce due comunità di accoglienza protette - casa Lirì e casa Zoe - più quattro appartamenti e un servizio di ascolto e accompagnamento. Quest’anno sono state 34 le donne accolte, cinque ora vivono in autonomia.

"Occorre una maggiore responsabilità da parte dei clienti e l’offerta di alternative vere alle donne prostituite", sottolinea il direttore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti . Non solo repressione, ma sensibilizzazione: l’appello alla vigilia della giornata europea contro la tratta che domani vedrà gli enti attivi sul territorio incontrarsi virtualmente con l’hashtag “Milano non tratta”. "Le nostre operatrici - continua Gualzetti - ci raccontano che le presenze sulle strade di Milano e hinterland sono tornate ai livelli precedenti al lockdown e non accennano a diminuire nemmeno in questi giorni in cui i contagi sono tornati a salire. Le donne sono spinte da una forte necessità economica e non riescono a trovare alternative reali per tagliare i ponti con i loro sfruttatori, per cui accettano il rischio di ammalarsi". Fra le vittime incontrate quest’anno, la maggior parte è di origine rumena (65), albanese (24) e nigeriana (22). "Ciò che sorprende di più - continua Gualzetti - è l’atteggiamento dei loro clienti che paiono indifferenti non solo alle condizioni di sfruttamento in cui si trovano queste donne, ma anche al pericolo di esporre loro stessi e le loro famiglie al virus. Per rompere questo intreccio occorre reprimere le organizzazioni criminali che ci lucrano, offrire non solo accoglienza ma anche opportunità di lavoro alle donne, ma soprattutto ottenere una presa di coscienza da parte dei clienti".