
Il corteo filopalestinese. Giovani e famiglie a migliaia in piazza. Contro lo Stato d’Israele
Erano migliaia: non meno di cinquemila alla partenza, tra il triplo e il quadruplo secondo gli organizzatori del corteo pro Palestina che ieri ha sfilato per il secondo sabato a Milano. Dalla Stazione Centrale al parco della Martesana: un percorso lunghissimo, durato più di tre ore e affrontato da giovani di seconda generazione e uomini di mezza età, famiglie con bambini anche piccoli, donne velate e ragazze truccate sotto la kefiah. Una festa di bandiere palestinesi ("Vietate in Israele", ricorda un’attivista dal camioncino di testa) appena punteggiata da qualche arcobaleno della pace, una manciata di falce e martello, sporadici simboli ed esponenti milanesi di Rifondazione, Unione popolare e Potere al popolo e una singola bandiera della Federazione russa sorretta da un tizio pittoresco con maglietta sovietica. Ma l’ala non arabofona del corteo, sia giovane che agée, è poco visibile e perlopiù relegata verso il fondo, a scandire "In-ti-fa-da" e cantare "Bella ciao", che s’alterna ad alcuni pezzi in arabo ma è per distacco la canzone più suonata; un fotomontaggio s’intesta pure Anna Frank (bambina uccisa dai nazisti in quanto ebrea in un campo di sterminio), ritraendola con la kefiah.
Del resto i manifestanti rivolgono agli avversari l’accusa di "nazismo", e "genocidio", riferito ai palestinesi, è uno dei termini ricorrenti sui cartelloni e dai megafoni che scandiscono slogan sia in arabo che in italiano, come: "Assassini di bambini", "Netanyahu assassino", "Joe Biden assassino", "Israele Stato criminale", "Stato fascista", "Stato terrorista", "Israele via via - Palestina terra mia", "Gaza Gaza vincerà", "Palestina libera". La parola "Hamas" affiora appena su un volantino della Lega comunista internazionale, che condanna anche "l’omicidio mirato di civili israeliani" e suggerisce che l’organizzazione terroristica non aiuti a "sconfiggere lo Stato sionista", ma dal camioncino di testa, accanto alla denuncia dell’uccisione di migliaia di palestinesi inclusi bambini, anziani e donne sotto i bombardamenti israeliani nella Striscia, arriva anche una narrazione che riconosce le vittime da una parte sola.
Così vengono bollati come "falsità" gli stupri di donne israeliane e i bambini israeliani decapitati, si pretende che si metta in discussione "l’attacco del 7 ottobre" e non la controversa paternità della strage all’ospedale Al-Ahli Arab di Gaza City (Hamas la attribuisce a un raid israeliano, l’esercito israeliano a un incidente durante il lancio di un razzo da parte della Jihad islamica), vengono definite "fasciste" tutte le emittenti e le testate occidentali, si nega l’esistenza o la possibilità di una "stampa indipendente" e si sostiene che le sole voci da ascoltare siano "quelle dei palestinesi". Invitando quindi i filopalestinesi a "boicottare la stampa, segnalare i contenuti sbagliati senza interagire facendo pubblicità alla propaganda che ci dipinge come mostri e terroristi" e insomma a utilizzare gli strumenti di pressione tipici delle democrazie occidentali, come i social, per fare leva sui governi dei Paesi occidentali di residenza che "si sono schierati con Israele".
Dal camioncino parlano anche "figli di rifugiati in attesa di tornare nella nostra terra, custodiamo le chiavi da tre generazioni", ma in corteo non ci sono solo palestinesi e non mancano riferimenti degli speaker a "discriminazioni" subite "dagli arabi" in Occidente "dopo il 2001". La causa palestinese è un collante per tutto il mondo musulmano, e il corteo accoglie immigrati di prima o seconda generazione da Paesi soprattutto del Nordafrica, e raccoglie applausi, riprese col telefonino e qualche partecipante estemporaneo nel suo percorso che si snoda tra alcune delle strade più multietniche di Milano. In via Settembrini un piccolo supermercato bengalese regala ai manifestanti bottigliette d’acqua, dai balconi di una via Padova insolitamente rarefatta nella sua presenza latinoamericana molti sorridono e si uniscono ai cori. Del resto il corteo, scortato come qualunque altro da polizia e carabinieri, è nei fatti pacifico, e l’estremismo delle parole e delle posizioni fa a cazzotti con un panorama in cui la serranda bombolettata da una giovane dei collettivi, persino la stampata di una bandiera israeliana in bianco e nero bruciata e calpestata da piedi calzati da un paio di Nike rimangono sullo sfondo, perché si vede di più la normalità dei giovani coperti di loghi di case di moda occidentali, di un ragazzo e una ragazza che affrontano chilometri in carrozzina, delle donne velate che si sostengono a braccetto, dei bambini emozionati che sventolano bandierine palestinesi colorate sul cartone con i pennarelli, del papà che scorta una bimba con le trecce lungo i bordi meno affollati del serpentone.
Sono passate le 18 quando il corteo arriva a destinazione e i manifestanti s’arrampicano sulla collina del parco "dei martiri della libertà iracheni vittime del terrorismo". "Non ci stancheremo mai di lottare per la Palestina", promettono gli organizzatori invitando i filopalestinesi che affollano l’Anfiteatro Martesana ad accendere le luci dei telefonini, in solidarietà a Gaza dove "sembra banale, ma l’elettricità manca".