I colossi del web contrastino le parole d’odio

Ruben

Razzante*

Nei giorni scorsi la senatrice a vita Liliana Segre ha deciso di denunciare i suoi haters che l’avevano presa di mira, arrivando perfino a minacciarla di morte. Bersaglio di un odiatore è risultata anche Giorgia Meloni, attaccata da un siciliano percettore di reddito di cittadinanza, che aveva minacciato azioni contro di lei se avesse cancellato quel sussidio. Ciclicamente si verificano casi del genere, sui quali le autorità di polizia indagano e intervengono tempestivamente. Nel 2016 la Commissione europea aveva pubblicato un codice di condotta rivolto ai colossi della Rete, nel tentativo di ridurre o eliminare questo preoccupante fenomeno sociale. Secondo il settimo Rapporto sull’hate speech pubblicato dalla Commissione europea, negli ultimi mesi quasi tutti i principali social network hanno abbassato la guardia, intervenendo in modo meno deciso e tempestivo sui messaggi d’odio che circolano sulle loro piattaforme. Nel 2022 solo il 64,4% delle segnalazioni complessive sono state gestite in 24 ore, contro l’81% dello scorso anno. Mentre YouTube e TikTok si sono dimostrati più efficienti nella rimozione di contenuti nocivi di quel tipo, Twitter è risultato il peggiore, cancellando solo il 45,4% di messaggi d’odio e gestendo soltanto una segnalazione su due. In generale, la percentuale di rimozione varia in base al tipo di contenuto. In media è stato rimosso il 69,6% dei contenuti che incitano alla violenza contro gruppi specifici, mentre quelli con parole o immagini diffamatorie sono stati rimossi nel 59,3% dei casi. L’educazione digitale e lo sviluppo di competenze in Rete assumono un ruolo centrale anche per la promozione di azioni di contrasto dell’hate speech. Le nuove generazioni vanno sensibilizzate fin dalle scuole dell’obbligo al corretto utilizzo degli strumenti digitali, contro ogni forma di violenza e discriminazione. Obiettivo: rendere meno tossico lo spazio virtuale.

*Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica

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