REDAZIONE MILANO

Gianotti, la prima donna a dirigere la ricerca al Cern: non sono un cervello in fuga

Con lei la scienza affascina la platea al Dal Verme di GIULIA BONEZZI

DIRETTORE Qua sopra la scienzata Fabiola Gianotti al centro di ricerca di Ginevra. A lato durante la serata che ha visto il teatro Dal Verme tutto esaurito (foto sotto) e con pubblico affascinato

Milano, 8 novembre 2015 - Dice che non si è mai sentita un «cervello in fuga» Fabiola Gianotti, 55 anni appena compiuti e già designata primo direttore donna del Cern. A Ginevra scelse di andare, mollando un posto da ricercatrice dopo il dottorato all’università di Milano, perché «è il sogno di tutti gli scienziati, come un bambino in un negozio di cioccolata». Che uno scienziato italiano vada all’estero è solo un bene, «ma in un Paese sano il flusso in entrata compensa l’uscita, e da noi purtroppo non è così». Servirebbero, dice, «più fondi e meno burocrazia. È tutta una mentalità da costruire».

E l'università  italiana per uscire dalle sue «torri d’avorio», si assume l’onere di dire un signore del pubblico dell’incontro con Gianotti, organizzato da Fondazione Edison per Expo, avrebbe qualcosa da imparare dal Conseil européen pour la recherche nucléaire, studiato come modello di governance per come riesca a far lavorare insieme migliaia di ricercatori di Paesi diversi, la metà under 35. Funziona, dice Gianotti, con «accordi leggeri, basati su nessun vincolo legale ma su un impegno morale». Funziona perché «ha minima burocrazia, che soffoca la creatività»; «le decisioni si prendono per consenso» e «l’autorità non è data dalle decorazioni, ma dalle idee: anche il più giovane può cambiare il corso di un esperimento». Insomma è «meritocrazia» la risposta che, lascia intendere la scienziata, è più difficile da sintetizzare della spiegazione del big bang. Parte da quella infatti, davanti a una platea di decine di studenti, dalle superiori all’università, di addetti ai lavori e curiosi di scienza che ieri mattina sono andati ad ascoltarla al teatro Dal Verme di Milano. Una spiegazione «scientificamente non rigorosa», premette, «pittorica», dal «grande botto» che ha originato l’universo 14 miliardi di anni fa all’acceleratore Lhc, quell’anello di 27 chilometri al confine tra Svizzera e Francia che a forza di scontri tra particelle elementari a potenza «senza precedenti» a luglio 2012 ha trovato il bosone di Higgs, inseguito da mezzo secolo. E «ha già cambiato le nostre vite» con le tecnologie sviluppate per costruirlo, come l’adroterapia che bombarda i tumori in 14 centri al mondo, tra cui il Cnao di Pavia. L’importanza della ricerca di base, «svincolata dal prodotto e dal profitto», che «si giustifica da sé» e «deve essere finanziata col denaro pubblico».

Nel pubblico del Dal Verme c’è lo studente di biotecnologie che vuol sapere di neutrini e onde gravitazionali, e c’è il signore che domanda a Gianotti: «Ma l’uomo e la donna chi li ha creati?» La ragazza che le chiede «come possa essere così precisa sulle percentuali», quando dice che il cielo che vediamo «è il 5% dell’universo» e il resto materia oscura; l’uomo che vuol capire se sia «una bufala» quella dei micro buchi neri che potrebbe creare Lhc. «Sarei felice se ci riuscissimo - risponde la scienziata -. Sarebbero innocui, nello spazio avvengono collisioni a energie che nessun acceleratore potrà mai raggiungere. Ma vorrebbe dire che c’è una nuova fisica al di là di quella che conosciamo oggi». Un’altra ragazza le chiede che caratteristiche debba avere uno scienzato. «Passione, determinazione, curiosità. E umiltà, parafrasando Newton bisogna esser disposti a contribuire alla gocciolina che conosciamo, rispetto all’oceano che non conosciamo. Ma è lì il bello». Un’altra cosa, serve: «Non arrendersi mai».

di GIULIA BONEZZI