Fragomeni: "Grazie alla boxe ho messo la vita al tappeto"

La storia dell’ex campione milanese diventa show teatrale. "Le droghe, il papà violento, la sorella morta: ho pianto durante il monologo"

Giacobbe Fragomeni

Giacobbe Fragomeni

Milano, 24 novembre 2019 - Si commuove Fragomeni. Mentre sul palco scorre la sua vita: il padre violento, la morte della sorella, la dipendenza dalle droghe («lsd, coca, eroina: non mi sono fatto mancare niente») e la vita dura al quartiere della Stadera. Cemento e polvere. Poi la boxe. E tutto cambia. Parabola umana e sportiva quella di Giacobbe, 50 anni, pugile nel cuore. Fino al 15 dicembre raccontata in scena allo Spazio Tertulliano di Milano in ‘Forse lassù qualcuno mi ama’. Un monologo. Scritto, diretto e interpretato dall’amico d’infanzia Giuseppe Scordio. Uno del quartiere. Che quando si parla di certe cose, è obbligatorio avere le stesse cicatrici.

Fragomeni, com’è stato vedere la sua storia a teatro? «Commovente. Giuseppe è straordinario, solo chi ha vissuto certe cose le può interpretare. E noi vivevamo a 20 metri di distanza, sulla stessa via, si giocava insieme a pallone: lui sa tutto». Giocava bene? «Era forte! Uno tosto. Io invece ero già grosso, il più alto di tutti, sembravo un senior. È bello riuscire ora insieme a unire sport e teatro, due strumenti di riscatto sociale che ci permettono di condividere qualcosa di vero». Che cosa è stato più emozionante? «Ho perdonato tutto e tutti, a partire da me stesso, perché quando sei un bambino pensi che quello che succeda sia colpa tua. Ma quando all’inizio Giuseppe ha indossato la coppola e si è messo di spalle nel tinello, ho proprio rivisto mio padre. Era lui. E da lì ho iniziato a piangere. Come se ci fosse stata la macchina del tempo. È stato devastante e meraviglioso». Quali persone le hanno cambiato la vita? «Il ’nonno’, Ottavio Tazzi, purtroppo non c’è più. È stato il mio primo e ultimo maestro in palestra. Per il resto persone buone e meno buone, che han fatto il loro. Tanta gentaglia». Che ricordi ha di lui? «Con la sua semplicità e la gentilezza, mi ha tirato fuori da un momento in cui ero sottoterra. Salvandomi la vita. Mi ha subito dato fiducia e importanza, una cosa per me del tutto nuova. Lo seguivo alla lettera. A fine giornata ci guardavamo e mi diceva: allora Giacobbe tutto a posto, ci vediamo domani. Bastava quello perché andasse tutto bene. Sapevo che il Nonno non mi avrebbe mai tradito. Mi ha insegnato l’etica della boxe, l’amore per quello che fai, essere un uomo, che poi vuole dire rispettare te stesso per rispettare gli altri. È così che sono diventato campione del mondo Wbc. Ora cerco di condividerne il pensiero nella mia palestra». Ha già bussato alla porta un giovane Fragomeni? «Per ora no, anche se qualcosa ho intravisto. Ma bisogna aver voglia di faticare, il pugilato è duro. Il mio corpo non è solo tatuaggi: mi porto addosso i segni di 200 punti di sutura». Perché a un certo punto se n’è andato in tv? Era il 2016. «In quel periodo avrei dovuto combattere, ma mi sono fatto male. C’era questa occasione di fare un provino televisivo e mi accettarono. Si aspettavano tutti che uscissi dopo due settimane. E invece sono diventato un personaggio amato dalla gente a casa. E alla fine ho vinto ’L’isola dei famosi’». L’incontro più bello? «Quando sono diventato campione europeo fra i dilettanti nel 1998. E la sconfitta contro l’inglese David Haye, nel 2006. Era forte, in pochi ci volevano combattere. Andai molto bene fino alla nona ripresa, poi successe qualcosa di strano: lui fece una scorrettezza, dovetti poggiare il ginocchio a terra e subito decidemmo di gettare la spugna. Eravamo a Londra, non l’avrei battuto nemmeno a sparargli. Ma sono orgoglioso di quell’incontro e so che è stato il trampolino di lancio per arrivare al titolo mondiale». Cosa si prova a mandare al tappeto un avversario? «Ti meravigli, provi una specie di stupore». È vero che la gioia per una vittoria non è mai uguale al dolore per una sconfitta? «Sì, è così. Però anche la sconfitta può essere una gioia. Questa è la mia filosofia. Certo, se perdi perché il giorno prima hai fatto serata o sei stato con la fidanzata, allora sei un cretino. Ma io non ho mai avuto quell’atteggiamento con la boxe. Ho sempre dato tutto. La sconfitta diventa quindi onorevole e ti rende migliore. Chi invece si crede un campione cade in profondissime depressioni. A volte ci vogliono anni per riprendersi». Le manca il ring? Lei a 47 anni ha avuto la forza di risalire sul quadrato... «Mi piacerebbe fare ancora qualche match, l’ultimo è stato nel 2017. Ma ora ho i bimbi, la moglie, la palestra. Fare l’atleta al 100% vuol dire non vedere nessuno, essere egoista, pensare solo a te stesso. Prepararsi duramente. Perché le botte fanno male e io sono uno pignolo, quando salgo sul ring voglio essere in piena forma. Quindi ho abbandonato l’idea. Ora vorrei diventare un maestro, non dico grande ma almeno uno di quelli buoni». Che consiglio darebbe oggi a un ragazzino? «Di credere in sé stesso. E di volersi bene. Che vuol dire anche farsi il culo ogni mattina presto per lavorare, allenarsi o andare a scuola».  

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro