Caso Salis, Gabriele Marchesi è libero. Lo schiaffo di Milano all’Ungheria

Revocati i domiciliari per il 23enne. I giudici hanno accolto la linea della difesa e della Procura generale: "Garanzia per il sistema democratico"

Milano – Lo schiaffo all’Ungheria è nelle 14 pagine di motivazioni con cui i giudici milanesi hanno respinto la richiesta di consegnare il 23enne militante antifascista Gabriele Marchesi, coindagato di Ilaria Salis, disponendo la sua "immediata liberazione" e revocando "ogni misura cautelare". Esiste il "rischio reale di un trattamento inumano e degradante" nelle carceri ungheresi e "c’è fondatezza di timori di reali rischi di violazione dei diritti fondamentali". Condizioni che potrebbero mettere a rischio la salute fisica e psichica del giovane. ll mandato di arresto europeo a carico di Marchesi non rispettava inoltre il "principio di proporzionalità" della pena, che in Ungheria per il reato contestato oscilla tra i "2 e i 24 anni", anche perché la carcerazione preventiva in Ungheria sarebbe potuta durare "sino a tre anni" e ciò avrebbe potuto comportare "seri pregiudizi alla vita" del giovane che in un carcere magiaro potrebbe essere percepito tra l’altro come "parte di una minoranza d’opinione" con tutti i rischi conseguenti.

Un verdetto della quinta Corte d’Appello di Milano, presieduta da Monica Fagnoni, arrivato nella stessa giornata dell’udienza a Budapest a carico di Ilaria Salis, a circa mille chilometri di distanza, conclusa con il no dei giudici agli arresti domiciliari per l’attivista accusata, come Marchesi, di presunte violenze commesse nel corso di una manifestazione di estrema destra a Budapest l’11 febbraio 2023. Altri casi sono davanti ai giudici in Germania, a Karlshrue, con al centro la posizione di tedeschi accusati dello stesso reato.

"Sono contento”, si è limitato a dire Marchesi dopo la lettura del provvedimento. Il muratore 23enne, emozionato, ha abbracciato un amico e ha stretto la mano al sostituto pg Cuno Tarfusser, che si era opposto al trasferimento nel carcere magiaro. Poi è tornato a casa, dove gli è stato notificato l’atto che si traduce nella fine dei domiciliari. Resta però valido il mandato di arresto europeo, emesso l’8 novembre, che potrebbe scattare fuori dai confini italiani. "Non è la prima volta che viene rigettata una richiesta di consegna a un altro Paese dell’Ue – spiega l’avvocato Mauro Straini, difensore di Marchesi con l’avvocato Eugenio Losco –. E questo perché è un dovere continuo e inderogabile verificare il rispetto dei diritti fondamentali, è una garanzia per il sistema democratico". Per il sostituto pg Tarfusser il provvedimento della Corte "è la constatazione che l’Ungheria si è allontanata dallo spirito che ha animato lo sviluppo europeo verso un comune sistema giudiziario". Anche se "non siamo noi in Italia a poter insegnare come si trattano i detenuti". Nella scorsa udienza i giudici avevano anche sondato l’ipotesi di misure alternative rispetto alle sbarre. Opzione che la Procura ungherese aveva respinto sostenendo la "necessità" del carcere.

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