Milano, Agenzia delle Entrate e 'ndrangheta: la funzionaria corrotta con 10 euro a pratica

Blitz contro la 'ndrangheta, così una funzionaria gestiva le pratiche per conto dei commercialisti legati al clan Arena

Le indagini della Guardia di finanza

Le indagini della Guardia di finanza

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"Ciao Marcello, scusa se te lo dico... ti ricordi che là ti avevo detto che le pratiche così erano quindici euro l’una... poi avevamo patteggiato che se erano tantissime facevamo dieci... eh, però... quando è una sola, due sole... così che non son cento... fai quindici gentilmente... perché tra venirle a prendere, tra portare... ciao grazie... poi ti vedi se ti va o no, è ovvio che che ognuno decide come vuole...". E ancora: "Ciao Marcello, sono Alina, ti ho lasciato tutte le pratiche con i soldi... sia quelli della prima tranche... quelli della seconda... ci ho detratto i trenta euro che ti avevo detto...". Il 10 febbraio 2021, gli investigatori coordinati dalla Dda di Brescia perquisiscono la Cogede Consulting srl di Casorate Primo e sequestrano il cellulare di Marcello Genovese, uno degli uomini di fiducia del commercialista "titolare di fatto" Giovanni Tonnarelli, già emerso in precedenti inchieste su presunti legami con esponenti della criminalità organizzata.

Tra le chat di Whatsapp ce n’è una con Lia Alina Gabbianelli, funzionaria dell’Agenzia delle Entrate Milano 5: dall’ascolto dei messaggi vocali che i due si sono scambiati, i carabinieri e i finanzieri che stanno indagando da tempo su aziende-fantasma legate al clan Arena di Isola di Capo Rizzuto scoprono che la sessantaquattrenne è in costante contatto con Genovese. Perché? Secondo le accuse, la dipendente pubblica ora ai domiciliari per corruzione si sarebbe messa "continuativamente a disposizione" di Genovese, tra l’11 settembre 2019 e l’8 febbraio 2021, "per agevolarlo nell’esecuzione delle pratiche di attivazione e revoca dei cassetti fiscali e della fatturazione elettronica da questi di volta in volta richieste, evitandogli l’onere di presentarle allo sportello". In particolare, stando a quanto emerso dall’inchiesta della Dda di Brescia che si è chiusa ieri con 33 persone in manette, Gabbianelli si recava di persona a prelevare le pratiche nella sede di una srl in zona Gratosoglio, "le lavorava" nel suo ufficio di via dei Missaglia e le riportava indietro, "pattuendo e ricevendo un compenso indebito pari a 10 o 15 euro per ogni pratica svolta, per un corrispettivo complessivo di almeno 6.730 euro".

Nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Carlo Bianchetti, viene ricostruito un complesso sistema di società-cartiere che ruotava attorno alla figura del trentatreenne Martino Tarasi, crotonese trapiantato nella Bergamasca per conto degli Arena che avrebbe messo su "un’organizzazione dedita alla commissione di delitti economico-finanziari con modalità standardizzate e professionali". In sostanza, venivano costituite ditte che avevano l’unico scopo di emettere fatture per operazioni inesistenti "nei confronti di numerosi clienti" interessati a evadere millantando fantomatici crediti; poi i soldi tornavano indietro via bonifico, con conseguente monetizzazione e trasferimento dei contanti ad altre società di comodo per un guadagno di circa il 10%. Inutile dire che le srls – alcune con sede legale in zona Navigli o a Corsico – non erano intestate né a Tarasi né al cognato Antonio Astorino o ad altri personaggi già condannati in passato come Orlando Demasi (considerato membro della locale di ’ndrangheta di Giussano), bensì a prestanome compiacenti (compresi alcuni pregiudicati). I veri padroni restavano sempre nell’ombra, sia per evitare che gli inquirenti dell’Antimafia collegassero i loro nomi a quelle società sia per scongiurare eventuali provvedimenti di sequestro patrimoniale.

A orchestrare il vorticoso giro di aziende, che spesso restavano in vita per pochi anni registrando un boom di affari nell’arco di pochi mesi, c’era proprio il consulente fiscale Tonnarelli, secondo la Dda. "Questo ti fa fare i soldi... – diceva Tarasi del commercialista in una conversazione intercettata quanto mai rivelatrice del modus operandi –. Sa tutti gli escamotage che sanno, se li tengono per loro giustamente... lo sai quante aziende fa? Là c’ha più aziende sue che di clienti... c’ha quattro commercialisti novantenni che firmano al posto suo... “Martino devi fare il bilancio? Sai che adesso c’è la firma del commercialista che ci va di mezzo? Mille”. Gli davo mille euro, prendeva un vecchio di novant’anni e un commercialista, firmava ”io non c’ho niente da perdere!” Novant’anni, che gli devono a un commercialista di novant’anni? Niente". A giudizio di Tarasi, pure il fidato collaboratore Luca Litta era sulla strada giusta: "Si è fatto più bravo di lui a imbrogliare... eh sì, è Luca che fa il cassiere... gli facevo io le fatture a lui... e gli portavo i soldi, il contante... Luca se li prendeva! Una volta si metteva con la macchinetta... le contava ta... ta... ta... ta.... ta... li metteva nel cassetto. “Ehi, ciao Martino, ci vediamo domani!” Che bastardo".

 

 

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