"Fughe di chiostri e cortili oltre le week e gli spot: le mie tre Milano invisibili"

Esplorando le città invisibili di Calvino, Stefano Bartezzaghi cerca di dare voce alla città "invisibile" e trasformare quella "invivibile" di Milano. Un metodo per capire e progettare le nostre città, tra città reale e città ideale, per resistere al degrado.

"Fughe di chiostri e cortili oltre le week e gli spot: le mie tre Milano invisibili"
"Fughe di chiostri e cortili oltre le week e gli spot: le mie tre Milano invisibili"

Stefano Bartezzaghi, cos’è una città oggi? Come dare voce alla città “invisibile” e trasformare quella “invivibile”?

"Le mie competenze riguardano comunicazione e segni e quel che noto è che le città, almeno quelle ritenute di successo, non fanno che cercare e migliorare la loro visibilità. Attirano i set cinematografici, si compiacciono di architetture spettacolari, inalberano gigantesche immagini pubblicitarie, invitano cittadini e visitatori a perdere un po’ di tempo, passeggiando, facendo shopping, consumando cibi e bevande nei numerosi déhors ereditati dal post-confinamento pandemico. Dei nostri centri urbani l’invisibilità (e anche l’invivibilità) sta dietro a queste paratie dell’immaginario: nelle relazioni fra i concittadini, più in generale nella realtà e spesso nella durezza delle condizioni in cui vi si svolge la vita non esibitiva".

Le città invisibili di Calvino poggiano su un gioco di costruzione e scomposizione: un metodo che potrebbe aiutarci a capire e progettare le nostre città?

"Architetti e urbanisti, oltre ai semiologi, amano moltissimo la scrittura di Italo Calvino, che ha spesso riflettuto e narrato a proposito di spazi sociali e urbani. In un capitolo di Se una notte d’inverno un viaggiatore un innamorato passeggia per Mosca e spera di incontrare la sua innamorata e per far ciò cancella i palazzi, le auto, la Prospettiva Nevskij, l’intera città. Una fantasia psicoletteraria: Calvino ci dice che è nella tensione tra città reale e città ideale che possiamo cercare qualche rimedio e forma di resistenza al degrado".

Qual è la sua “Milano invisibile”?

"Già da bambino scrutavo le piante stradali di Milano e osservavo quanta distanza c’è spesso tra una via e la sua parallela: dietro i portoni ci sono spesso fughe di chiostri, corti, giardini (con fontane e a volte animali esotici); nelle zone più popolari, solo cortili. Quella è stata la mia prima Milano invisibile: invisibile lo è un po’ meno dopo l’arrivo di Google Maps e Google Earth, ma anche dopo l’apertura di molte terrazze e punti elevati di osservazione (che fino a pochi anni fa erano pochissimi). L’altra Milano invisibile è quella dei terrain vague, dei capannoni abbandonati, del tessuto urbano sdrucito che si può osservare specialmente da qualche linea ferroviaria periferica, come quella che mi porta da dove vivo (Lambrate) a dove lavoro (Romolo). Una terza Milano invisibile è quella in cui esisto e vivo io, ma che non viene assolutamente percepita dai visitatori occasionali, dai frequentatori delle fiere e delle diverse “week” che punteggiano il calendario ambrosiano, dai tifosi stranieri che vengono ad assistere le partite internazionali di Inter e Milan. Visibile e anzi unica reale per chi la vive; invisibile alla vista di media, fondi di investimenti e, temo, politica". Si.Ba.

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