Milano – Al corteo per la Palestina che ieri, sabato 14 ottobre, ha sfilato per la zona nord di Milano (partendo dalla Stazione Centrale e arrivando al parco Trotter) insieme ai 4mila manifestanti che hanno gridato il loro sostegno ai palestinesi e la loro condanna ad Israele, c’era anche Francesco Giordano, ex terrorista condannato nel 1983 a 30 anni di carcere (diventati 21 in appello) per l’omicidio del giornalista Walter Tobagi, avvenuto il 28 maggio del 1980.
Anti Israele
Giordano è stato notato – e fotografato dal quotidiano Il Giornale – in via Vitruvio, nella testa del corteo, mentre reggeva uno striscione che invitava al boicottaggio di Israele e che recitava: “Non finanziare l’Apartheid israeliana”. Francesco Giordano, del resto, non ha mai fatto mistero della sua militanza anti-israeliana. Alle commemorazioni del 25 aprile è spesso in prima fila per contestare la Brigata Ebraica e gridare contro il corteo bianco azzurro: “Assassini”.
Chi è Giordano
Il nome di Francesco Emilio Giordano è legato a uno degli omicidi più noti degli anni di Piombo, quello del giornalista del Corriere della Sera e presidente dell’Ordine dei giornalisti lombardo Walter Tobagi, avvenuto in via Salaino, a due passi dal parco Solari, il 28 maggio del 1980. Giordano faceva parte della Brigata XXVIII marzo, un gruppo terrorista costituitosi nello stesso 1980 a Milano che cercava di accreditarsi presso le Brigate Rosse, con azioni eclatanti come la gambizzazione di un altro giornalista, Guido Passalacqua di Repubblica (avvenuta pochi giorni prima dell’esecuzione di Tobagi). Il nome del gruppo di giovani terroristi faceva riferimento all’irruzione della polizia agli ordini di Carlo Alberto Dalla Chiesa nel covo delle Brigate Rosse in via Fracchia a Genova il 28 marzo del 1980, durante il quale rimasero uccisi 4 brigatisti.
La Brigata 28 marzo
Della Brigata milanese facevano parte, oltre a Giordano, il capo Marco Barbone, Paolo Morandini (figlio de critico cinematografico Morando), Manfredi De Stefano, Daniele Laus e Mario Marano. Il gruppo era solito riunirsi nella casa di via Solferino, a pochi metri dalla sede del Corriere, della fidanza di Barbone, Caterina Rosenzweig, figlia di una ricca famiglia milanese. I nemici del gruppo erano innanzitutto i giornalisti, colpevoli, secondo loro di essere i primi controrivoluzionari e servire la causa della borghesia. Il primo bersaglio fu Guido Passalacqua: il 7 maggio 1980 un commando del gruppo entrò in casa sua e gli sparò due colpi di pistola alle gambe. Il volantino recapitato al quotidiano spiegava che Passalacqua era stato colpito in quanto “giornalista riformista”.
L’omicidio Tobagi
Tre settimane dopo il ferimento del giornalista di Repubblica, arrivò l’omicidio di Tobagi, firma importante del giornale di via Solferino, dalla cui colonne si scagliava – sempre con equilibrio e tono misurato – contro i terroristi e il caos nelle università. Alle 11.10 del 28 maggio, un commando della Brigata, dopo aver atteso il giornalista sotto casa, lo fulminano con 5 colpi di pistola.
Il maxi processo
Le indagini sull’omicidio furono tanto brevi quanto risolutive: all’inizio di ottobre venne arrestato Marco Barbone, che decise subito di confessare e collaborare con i magistrati (assicurandosi l’immunità) e nel giro di breve tempo tutta l’organizzazione venne smantellata. Al processo, iniziato nel 1983 – e che in realtà fu un maxi procedimento contro varie sigle terroristiche con 150 imputati – per l’omicidio di Tobagi vennero condannati Marco Barbone – leader del gruppo, che in base alla ricostruzione esplose il colpo mortale – e Paolo Morandini a 8 anni e nove mesi (in quanto pentiti), Mario Marano, che sparò il primo colpo, a 20 anni e 4 mesi (12 anni in appello), Manfredi De Stefano a 28 anni e otto mesi, Daniele Laus, autista del commando, a 27 anni e otto mesi (16 anni in appello) e Francesco Giordano, il cui ruolo fu di copertura del gruppo, a 30 anni e otto mesi (21 anni in appello).
Il 25 aprile
Giordano fu quello del gruppo che che scontò la pena maggiore e per intero. Dopo la sua liberazione, avvenuta nel 2004, non ha rinunciato alla lotta politica e ha abbracciato la causa palestinese, aderendo a varie associazioni e intervenendo su varie testate e siti legati alla lotta contro Israele. Il suo nome torna di solito al centro della scena in occasione del 25 aprile, quando indossando una kefiah manifesta contro la sfilata della Brigata Ebraica. Negli anni ha accusato di “sionismo” vari soggetti, dalla stessa Brigata Ebraica, al sindaco Sala, fino all’Anpi.