
Elisa Bellino
Milano - Correva l’anno 2013 quando Elisa Bellino decise di lanciarsi nel mondo del web. All’epoca aveva una figlia di otto mesi, in tasca una laurea alla Iulm e la passione per il fashion che è riuscita a trasformare in un lavoro. Il suo sito, Theladycracy.it, conta oltre mille articoli pubblicati, oltre ai contenuti veicolati dalla fashion blogger attraverso i social.
Nel mondo del web nove anni sono un’era geologica. Come è cambiato il suo lavoro?
"Quando ho iniziato questo lavoro eravamo in pochi, mentre adesso c’è una totale saturazione del mercato. C’è una corsa perenne, si finisce per pubblicare sempre le stesse cose. Per questo io, all’età di 37 anni, ho deciso di rallentare e di puntare sulla qualità, tralasciando la quantità. Sono diventata ancora più selettiva. Poi nel periodo che stiamo vivendo, con la pandemia e la guerra, parlare di moda mi sembra sempre più fuori luogo. Per questo sto cercando di seguire anche strade diverse".
Quali?
"Ho lasciato Milano e sono tornata a vivere in Liguria, la mia regione d’origine, dove da qualche mese ho iniziato anche a produrre ceramiche creando la linea “lunatica_amano“. Le vendo online e anche nei mercatini".
Con la sua attività di fashion blogger e influencer quanto riesce a guadagnare?
"Varia a seconda dei periodi, ma in media circa 1.200-1.300 euro al mese. È uno stipendio normale, che mi permette di vivere, anche con una figlia di 10 anni. Lavoro a partita Iva e le tasse, come per tutti, variano in base ai guadagni".
Da quale canale derivano i suoi introiti?
"Principalmente dalle aziende per le quali lavoro. In passato mi è capitato di lavorare per agenzie, ma ora gestisco direttamente quasi tutti i miei contatti. Sono su Instagram, Facebook, lavoro molto su Pinterest. Alla mia età, però, mi sono rifiutata di entrare in Tik Tok. Lo lascio ad altri, più giovani. Anche i social sono cambiati, c’è una dominazione degli algoritmi e un influencer è condannato a una corsa perenne per pubblicare contenuti, per non perdere posizioni ed essere surclassati da altri. In questo modo, a un certo punto, si rischia il burnout e si diventa schiavi. In questa saturazione del mercato si è creato un esercito di influencer facilmente sostituibili. Per questo resiste negli anni chi ha un nome, è specializzato e offre un lavoro di qualità".
Come vede gli influencer della “generazione Z“?
"Vedo poca creatività e tanti prodotti troppo uniformi. Consiglierei loro di non puntare tutto sull’apparenza, sul proprio aspetto fisico, perché alla lunga non funziona. Poi è un lavoro che non consiglierei a mia figlia. Lei non ha neanche il telefono cellulare, che ormai quasi tutte le sue amiche posseggono, e non glielo comprerò prima dei 18 anni".