
Fabiola Minoletti
Milano, 17 agosto 2023 – Ha cominciato osservando quello che succedeva sotto casa sua: dalla prostituzione, prima, alla piaga di scritte e scarabocchi lasciati su muri, serrande e centraline con vernice spray, poi. Ma mai avrebbe immaginato di diventare la massima esperta di “graffitismo vandalico“, ampliato fino agli assalti degli scalatori urbani ai monumenti, e di fornire informazioni preziose alle istituzioni pure monitorando i social, dove le “imprese“ vengono pubblicate. È la milanese Fabiola Minoletti, un passato da biologa, ricercatrice associata all’Istituto dei Tumori, mamma di due ragazzi, una femmina e un maschio, e vicepresidente del Coordinamento comitati milanesi. Tra le pareti di casa e anche fuori, il suo lavoro (gratuito) non si ferma mai.
Come ha iniziato?
"Nel 2005 ho fondato il comitato Abruzzi-Piccinni per contrastare la prostituzione, denunciando la situazione con immagini choc. Problema risolto grazie alle denunce dei cittadini ma io e gli altri non volevamo che il quartiere fosse etichettato come zona a luci rosse. Così abbiamo deciso di ripulire i luoghi come cittadini-volontari, togliendo graffiti e rifiuti da una pesa pubblica e una centralina elettrica. L’8 ottobre 2008 abbiamo realizzato il primo “cleaning“, pulizia, a livello nazionale, dando vita a “Milano quartiere pulito“, in collaborazione con Amsa. Abbiamo adottato una porzione di viale Abruzzi, tra i civici 1 e 38, tenendo puliti i muri dei 38 palazzi e anche 72 serrande di negozi e 96 manufatti come fioriere e centraline. Tuttora cancelliamo i nuovi graffiti".
I raid sono diminuiti?
"Fino a un anno e mezzo fa, sì. Da dopo il Covid invece la situazione è peggiorata in tutta Milano. E lo so perché mi occupo del fenomeno servendomi di indicatori che ho elaborato grazie alla mia teoria della “deriva vandalica“".
Cioè?
"Questo fenomeno non era mai stato studiato prima e io ho cercato di farlo utilizzando le mie competenze da biologa: ho usato il territorio per acquisire i dati e li ho elaborati per dare una spiegazione a qualcosa che prima sembrava senza senso. Noto che si va sempre più verso una deriva vandalica: il graffitismo, ma vale anche per le imprese dei “parkouristi“ sui monumenti, è come il gas: se non compresso, continua a espandersi. Ed è peggiorato in base a precisi indicatori: il primo riguarda le tecniche di scrittura. Le scritte sono sempre più grandi e difficili da rimuovere. A quelle realizzate con la vernice spray si sono aggiunte quelle lasciate con l’acido o con la tecnica dello “scratching“, graffiando le superfici. Si usa anche il catrame. Il secondo indicatore è la modalità utilizzata: sempre più pericolosa. Ci si arrampica ovunque. Come è successo di recente alla Galleria di Milano. E il terzo indicatore è l’obiettivo: si punta a qualcosa di sempre più estremo, dai treni in movimento ai monumenti-simbolo, perché la fama cresce".
Ha raccolto un patrimonio. Quali sono le sue scoperte, utili anche alle istituzioni?
"Io ho monitorato anche il passaggio sui social, dal 2010. Quindi tramite le “tag“, le firme, risalgo ai profili dei singoli e alle “crew“, le bande. Conservando ogni traccia, molto utile per la polizia locale. La mia analisi è stata riconosciuta dal Cnr, Consiglio nazionale delle ricerche. Mi sono accorta della nascita delle bande con davanti la “Z“, per indicare una particolare zona di appartenenza, o il cap".
Bisognerebbe fare di più per contrastare il fenomeno?
"Sì. Non c’è più un nucleo dedicato, con il coordinamento della Procura: bisognerebbe ripristinarlo. E poi occorrerebbe non considerare un “reato minore“ quello dell’imbrattamento e aumentare le sanzioni. Sarebbe utile anche creare una banca dati nazionale delle tag e dei writer, per rendere più semplice risalire ai singoli vandali, che hanno anche l’abitudine di girare di città in città per lasciare il loro segno. A colpi di vernice e non".