Tentata estorsione a imprenditore: ultrà dell'Inter condannato a 3 anni e mezzo

Domenico Bosa, detto 'Mimmo Hammer', sarebbe legato alla famiglia 'ndranghetista dei Pompeo di Bruzzano

Domenico Bosa è un esponente di punta del gruppo suprematista Hammerskins

Domenico Bosa è un esponente di punta del gruppo suprematista Hammerskins

Milano, 13 gennaio 2021 - È stato condannato a 3 anni e 6 mesi di carcere per tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose Domenico Bosa, detto 'Mimmo Hammer', ultrà della curva interista, ritenuto uno dei capi del movimento neonazista milanese 'Hammerskin'. Lo ha deciso il gup di Milano Guido Salvini nel processo con rito abbreviato che ha portato anche ad altre tre condanne fino a 4 anni.

Bosa, 53 anni, era finito in carcere nel gennaio dello scorso anno in una maxi operazione della Gdf che aveva portato ad altri 17 arresti, su ordinanza del gip Livio Cristofano e su richiesta dei pm Sara Ombra e Gianluca Prisco, su una presunta maxi frode fiscale da 160 milioni di euro nel settore delle telecomunicazioni e in particolare «nella tecnologia Voip». E su una presunta associazione per delinquere, finalizzata anche a reati di usura, con a capo Alessandro Magnozzi (a processo con rito ordinario) e legata al clan della 'ndrangheta calabrese, radicato anche a Milano, dei Bruzzaniti, inserito nella «cosca dei Morabito-Palamara-Bruzzaniti». Bosa, in particolare, legato, stando alle indagini, alla «famiglia Pompeo» di Bruzzano, nel Milanese, con altre tre persone, tra cui Magnozzi, nel 2018 avrebbe tentato di costringere, stando all'imputazione, un imprenditore «a consegnare» al gruppo «la somma di euro 70-80 mila euro non riuscendo nell'intento».

Il gruppo chiedeva quei soldi «a titolo di restituzione dei prestiti di denaro fatti da Magnozzi a terzi soggetti o, comunque, a titolo di risarcimento danni per affari 'andati malè». Stando al racconto della vittima della tentata estorsione, Bosa gli avrebbe detto: «Non ti picchio qua solo per rispetto di Alessandro, comunque io voglio tutti i miei soldi».  Sempre stando agli atti, il gruppo capeggiato da Magnozzi aveva minacciato la presunta vittima così: «ti devi far trovare. Come vedi se devo cercarti ti trovo tranquillamente, non ho problemi... se ti dobbiamo sparare non ho problemi a farti sparare». L'imprenditore che avrebbe subito la tentata estorsione, come si legge negli atti, da tempo era «in contrastati rapporti di collaborazione con il Magnozzi» e avrebbe ricevuto «pesanti minacce da Domenico Bosa, da lui già conosciuto per diretti legami alla famiglia dei Pompeo di Bruzzano, con la quale (in particolare con Pompeo Alfredo) aveva avuto problemi nel passato (nel 2008) per affari andati male che lo costringevano persino ad allontanarsi dalla propria dimora per un anno e mezzo».

Nel processo abbreviato davanti al gup Salvini sono stati condannati altri tre imputati: Davide Marzulli (3 anni e 6 mesi), Giovanni Garoscio (4 anni) e Salvatore Bonaffini (2 anni e 2 mesi). Altri tre imputati nel procedimento hanno patteggiato oggi pene dai 3 anni ai 3 anni e 8 mesi.

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