REDAZIONE MILANO

Ermini (Csm): "Caso Amara buttai i verbali"

Il numero due di Palazzo Marescialli informato da Davigo ne parlò con Mattarella

Nessuna richiesta di "formalizzare" il caso nato dalle dichiarazioni di Piero Amara su una presunta loggia Ungheria e nemmeno di consegnare all’ufficio di Presidenza del Csm quei verbali così delicati ma "irricevibili" al punto da essere definiti "una velina non firmata e di dubbia provenienza".

A spiegarlo in aula a Brescia è stato ieri David Ermini, il vicepresidente del Csm testimone al processo in cui Piercamillo Davigo è imputato per rivelazione del segreto d’ufficio in concorso con il pm milanese Paolo Storari, assolto in primo grado. Storari nell’aprile di due anni fa si era rivolto proprio a Davigo per tutelarsi dal freno che, a suo dire, era stato messo dagli allora vertici del suo ufficio all’indagini sulla fantomatica associazione segreta di cui aveva parlato l’avvocato siciliano.

Il numero due di Palazzo dei Marescialli ha raccontato di quando il 4 maggio 2020, al ritorno in ufficio a Roma, Davigo gli riassunse le dichiarazioni di Amara "su una associazione massonica di cui avrebbero fatto parte una serie di personalità, anche esponenti delle forze di polizia e dell’esercito, e due consiglieri in carica al Csm, ossia Ardita e Mancinetti". "Era convinto, e io concordai, - ha proseguito Ermini - della necessità di avvisare il Presidente della Repubblica". Ermini ha poi spiegato di un secondo incontro con Davigo: in "confidenza" gli consegnò una cartelletta con copia "dei verbali. Li presi per cortesia ma li cestinai perché al Csm non possono entrare carte non ufficiali", ossia "fogli non firmati", "atti informali e quindi inutilizzabili. Davigo non mi chiese di formalizzare, me li consegnò perché li leggessi". Davigo si è difeso con una breve dichiarazione spontanea. "Una delle ragioni per cui non ho formalizzato immediatamente è perché, una volta protocollato, il plico viene visto dalla struttura" del Csm, che "secondo il comitato di presidenza non era affidabile". "Io sono un pubblico ufficiale ho l’obbligo di denunciare, cosa che feci al pg Giovanni Salvi. Dovevo segnalarlo - ha concluso - senza però recare danno alle indagini".