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"È un mestiere cruciale ma non viene valorizzato"

Stipendi bassi, travasi dai servizi dell’infanzia alle primarie e caos titoli di studio. La pedagogista Mantovani: speriamo che col grimaldello-Pnrr si trovino soluzioni

MILANO

"Rovesciamo i termini della questione: non è vero che i giovani e le giovani non vogliono più fare questo mestiere. Ma qieste figure professionali non sono ancora sufficientemente valorizzate". Così la pedagogista Susanna Mantovani, docente onoraria dell’università di Milano-Bicocca, inquadra il tema della mancanza di educatori.

Cercasi educatore, disperatamente. È una professione meno ambita?

"La mancanza di personale è un dato di fatto ed emerge soprattutto nelle regioni dove è più diffuso il servizio, come in Lombardia. Ma per una serie di cause. La prima, e vale soprattutto al nido, è per i contratti non certo vantaggiosi, per dirlo con un eufemismo. Ci sono eccezioni, ma è il problema di fondo. Nei due anni di Covid gli operatori 0-3 sono stati i più esposti, i bimbi non hanno le mascherine, ci sono più contatti stretti. Mancano riconoscimenti professionali e il Covid ha acutizzato fenomeni che c’erano già".

Il secondo motivo?

"C’è un problema di slittamento continuo a tutti i livelli di scuola. Succede che chi ha il posto nelle scuole dell’infanzia paritarie passi alle comunali e soprattutto allo Stato, per i contratti spesso più vantaggiosi e le tutele. La scuola primaria poi drena dalla scuola dell’infanzia sia perché appare un posto più prestigioso, sia per l’orario".

C’è anche un problema di titoli?

"Assolutamente sì, e se ne sta discutendo a livello ministeriale perché il tema è urgente. Alcune Regioni, prima la Liguria e adesso la Lombardia, con un contratto-ponte hanno ampliato i corsi di laurea a cui attingere. Non entro nel merito, ma c’è il limite della competenza locale rispetto a una norma dei titoli di studio che fissa una laurea e un indirizzo specifico. Se si attinge a titoli vecchi, il risultato è un po’ paradossale".

Ma se non lo si fa non si copre il servizio.

"Eh sì, una bella gatta da pelare. Obiettivamente è un problema che sarà da affrontare".

Anche perché si parla di un aumento di posti nei nidi col Pnrr, ma se manca il personale come si fa?

"E il problema riguarda anche la scuola dell’infanzia. Il numero di posti che le università ad accesso programmato riservano a questi indirizzi non tengono conto delle paritarie. Ma a Milano l’80% del servizio è garantito dal Comune e non dallo Stato. I numeri assegnati sono quindi al ribasso e non sono sufficienti. E non basta neanche cambiare quel numero nel breve periodo perché comunque devi aspettare che gli studenti si diplomino e passano altri tre anni. La situazione va affrontata adesso con norme temporanee e poi in modo più strutturale".

Come?

"Per esempio adesso si potrebbe prevedere il coinvolgimento anche degli studenti del terzo anno. C’è un tavolo aperto tra università e Regione. Ma la questione di fondo e affrontare finalmente il problema delle condizioni di lavoro. E so che non è facile, il privato sociale e le cooperative vengono da anni difficilissimi, hanno fatto sforzi enormi per restare aperti. In questo decennio sono stati protagonisti nella sperimentazione, ma non sono grandi imprese con grandi risorse per le assunzioni. Speriamo che col grimaldello del Pnrr si riescano a trovare soluzioni. Perché parliamo di quanto sia importante questa figura educativa, della necessità di nidi e servizi per l’infanzia per la natalità. Ma poi?"

Si.Ba.