SIMONA BALLATORE
Cronaca

“Non sono pronto a fare l’umarell”: il preside Domenico Squillace lascia la scuola, un amore lungo 42 anni

Il dirigente del liceo Volta di Milano va in pensione. "Ma avevo chiesto di rimanere ancora un anno. Tra Pnrr, settimana corta e progetti c’è tanto da fare"

A sinistra Domenico Squillace nel 1986 all’istituto Kandinsky, a destra alle porte del Volta che lascia dopo 10 anni

Milano – “Dal primo ottobre del 1962 tutte le mattine mi alzo per andare a scuola, escluse le feste comandate: praticamente un ergastolo". Domenico Squillace ha appena chiuso la sua ultima maturità al classico Carducci (una "maturità a chilometro zero", visto che casa e scuola distano una manciata di metri) e si prepara a salutare il liceo scientifico Volta, dopo 10 anni di presidenza, per la pensione. Quarantadue anni in cattedra, 16 da dirigente. Ma anche dopo anni faticosi e turbolenti, avrebbe voluto restare lì, almeno un altro anno, per traghettare il suo Volta tra i tanti progetti aperti. La sua lettera d’amore alla scuola, dedicata agli studenti, fece il giro d’Italia (e non solo) durante il lockdown.

Dove inizia questa storia?

"Da Crotone. Sono figlio di un maestro di scuola elementare. Ricordo papà Tommaso che correggeva verifiche o faceva doposcuola a bande di ragazzini che dovevano passare l’esame di ammissione alle medie, che era difficilissimo. Diventare insegnante è stato automatico".

Quando ha scelto Milano?

"Ho frequentato l’università di Cosenza, ma ho sempre sognato di studiare a Milano. Non me lo potevo permettere. Così l’ho raggiunta subito dopo la laurea, per il mio primo lavoro da insegnante precario. In realtà la mia prima scuola fu a Mariano Comense, alle medie, nell’ottobre dell’81. Ricordo il consiglio di un saggio collega il primo giorno: l’importante è che non si facciano male".

C’era già il nodo degli affitti?

"Con uno stipendio da supplente potevi farcela, non se ne andava il 70% come oggi: spendevo 100mila lire al mese per un buco, in un casa di ringhiera vicino alla Cattolica, con uno stipendio da 700/800mila lire".

Primo posto fisso?

"A Corsico, sempre alle medie. Poi nell’86 sono passato alle superiori, al Kandinsky, dove sono rimasto nove anni e sono diventato vicepreside. Ho lasciato la Lombardia per il Piemonte per mia moglie, e sono tornato da preside nel 2013, al Volta".

Perché ha preferito la carriera da preside all’insegnamento?

"Perché mi piace il lavoro organizzativo e sono un praticone, anche se il lavoro è cambiato: dobbiamo essere anche infermieri, psicologi, gestire difficoltà, ansie. C’è tanta fragilità".

Un effetto del Covid?

"C’era anche prima, in realtà. Ma avevo a che fare più con psicologi che con psichiatri".

In 42 anni di scuola, il cambiamento più grande?

"Il rapporto con i genitori, spesso avvocati e sindacalisti dei figli. Quante richieste di accessi agli atti... Come nel calcio: tutti tirano due calci al pallone e si sentono autorizzati a criticare il Ct della nazionale".

A settembre, che si fa?

"Si cambia vita, ma con un pizzico di rammarico. Faccio fatica a immaginarmi fuori da scuola. Avevo chiesto di poter restare almeno un anno in più, come è stato concesso ad altri dirigenti. Non mi ci vedo ancora a fare l’umarell, anche perché i cantieri in piazzale Loreto sono ancora lontanissimi... mentre al Volta abbiamo quelli del Pnrr e la settimana corta da avviare. In Lombardia ci sono 115 scuole vacanti, anche con le immissioni in ruolo ci saranno 80/90 reggenze. Avrebbero potuto benissimo tenerci per chiudere i progetti in corso".

Il suo consiglio a chi inizia la carriera?

"Non quello che mi diede il prof di Mariano, ma quello di papà: non riempire i ragazzi con l’imbuto, ascoltali bene, sono loro il bello della scuola".